I primi tre mesi dell’anno hanno segnato +52mila occupati (soprattutto dipendenti, anche a termine); il numero di disoccupati è calato di 49mila unità; gli inattivi, tra cui molti scoraggiati, sono in continua discesa; e qualche posto di lavoro in più si è registrato anche tra i 15-34 enni (+83mila sull’anno), oltre che tra le persone over50 (+328mila).
L’onda lunga del Jobs act
Sull’anno si confermano gli effetti positivi del Jobs act e della forte decontribuzione sulle assunzioni stabili: gli occupati in più sono 326mila (+1,5% - si pensi che il Pil sull’anno è salito meno, +1,2%); crescono i lavoratori a tempo pieno, il part-time aumenta esclusivamente nella componente volontaria. I dati Istat diffusi stamane si riferiscono al primo trimestre del 2017. A livello mensile è stato pubblicato, nei giorni scorsi, anche il dato di aprile, che ha fatto registrare un incremento forte degli occupati, +94mila, in tutte e tre le componenti, lavoro stabile, a termine e, per la prima volta, pure autonomo. La riforma del mercato del lavoro e gli incentivi, finiti lo scorso dicembre, stanno avendo un’«onda lunga» sul mercato del lavoro, con effetti che, seppur di entità ridotta, si stanno mantenendo anche quest’anno (sui numeri di aprile c’è l’effetto dello sblocco del bonus Sud per le assunzioni nelle regioni del Mezzogiorno - e sulla ripresa, timida, dell’occupazione giovanile si sconta, in parte, anche il primo balzo di Garanzia giovani, con il relativo bonus occupazione che in pochi mesi ha fatto registrare oltre 37mila domande).
Più occupati nei servizi
Questi interventi hanno ridato un pò di fiducia “di fondo” nelle imprese. Certo, ci sono tante crisi aziendali ancora in corso, i posti aggiuntivi sono principalmente nei servizi (c’è ancora forte un gap produttività), e la riduzione delle ore di Cassa integrazione sono dovute anche ai paletti delle nuove regole, che hanno ridotto durate e aumentato i costi per le aziende che fanno ricorso agli ammortizzatori. Il mercato occupazionale comunque continua a viaggiare sopra il Pil, nonostante una crescita che stenta a decollare.
Abbassare il cuneo
La fine degli sgravi generalizzati, tuttavia, sta modificando lo scenario: i contratti a termine sono tornati in aumento (qui si sconta anche il clima di incertezza politica di questi tempi), ci sono meno trasformazioni da rapporti temporanei a tempo indeterminato (si è scesi dal 24,2% al 19,6%), e stanno crescendo le transizioni dall’inattività verso la disoccupazione (+0.9 punti) e, in misura più contenuta, verso l’occupazione (+0,4%). In termini congiunturali, infine, si registra un aumento delle retribuzione, ma soprattutto, del costo del lavoro (+0,6%), su cui ha influito la crescita accentuata degli oneri sociali (+1,2%) dovuta, ovviamente, al graduale indebolimento degli effetti del vantaggio contributivo associato alle nuove assunzioni stabili degli ultimi due anni. Ecco il tema costo del lavoro torna centrale per le imprese, accanto alla certezza politica e normativa. Per questo, bisogna immediatamente riaprire il dossier “riduzione strutturale” del cuneo. Si parta pure dai giovani, ma in prospettiva, e stabilmente, si dovrà ridurre per tutti (vecchi e nuovi assunti).
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