A tarda notte la partita era ancora aperta a Lucca, Lecce, Taranto e Padova con i candidati del centrosinistra in vantaggio. Ma certo lo stesso leader del Pd Matteo Renzi non usa eufemismi con i suoi, mentre arrivano i dati reali che confermano gli exit poll: «È andata male, come previsto». A Genova, Parma, Verona, Catanzaro, L’Aquila e in altri capoluoghi al ballottaggio ieri per eleggere sindaco e consiglio comunale il vecchio centrodestra, quello formato da Forza Italia e Lega, è vittorioso. Le città in cui il centrosinistra risulta avanti sono certo importanti, ma non spostano il risultato. «Vedremo solo alla fine se dobbiamo parlare di sconfitta o di disastro», è la battuta che circolava ieri notte a Largo del Nazareno.
Il primo a fare l'analisi della sconfitta è il renziano Ettore Rosato, capogruppo dei deputati del Pd. Che nota due cose: i candidati a sindaco sono stati scelti in una fase precedente il congresso del Pd che ha riconfermato Renzi alla guida del partito e anche per le modalità in cui si attua la scelta al livello locale, ossia in accordo con i partiti della coalizione, non possono essere considerati candidati “renziani”. C’è poi una saldatura ai ballottaggi tra l’elettorato dei 5 Stelle e quello leghista, evidente a Genova, che sposta di fatto a destra il risultato finale. «La destra ha vinto e il M5s si dimostra influente nella capacità di spostare il risultato, non di aggregare i consensi», è la conclusione di Rosato. Ed è la stessa analisi ufficiale, dopo la mezzanotte, affidata a una scarna nota del vicesegretario Maurizio Martina: «I risultati di questa tornata di voto amministrativo andranno letti con grande attenzione. Vanno riconosciute alcune gravi sconfitte che fanno male a partire da Genova e l’Aquila. Altrove invece, come a Lecce, Taranto e Padova, conseguiamo vittorie importanti e per nulla scontate. Da questo voto emerge chiaramente che la destra a trazione leghista è il nostro vero avverario, mentre i Cinque Stelle alla prova del consenso locale falliscono».
Certo, come ammettono tutti i dirigenti dem, hanno pesato le divisioni a sinistra dell’ultimo anno: prima le polemiche e le divisioni sul referendum costituzionale bocciato dagli italiani il 4 dicembre, poi la scissione dei bersaniani con tutte le polemiche conseguenti. Il modo migliore per demotivare gli elettori del centrosinistra che, come testimoniano anche i dati dell’affluenza mai così bassi (ha votato poco più del 46% degli aventi diritto), alla fine se ne sono stati in buona parte a casa. E a influire è anche la permanenza al governo nazionale ormai dal 2013, prima con Letta poi con Renzi e ora con Gentiloni. E qui si pone il problema, che certamente il leader del Pd affronterà nelle prossime settimane, del rapporto con il governo: se si deve andare avanti fino al 2018 bisogna avere chiaro per fare cosa – ripete Renzi nelle valutazioni con i suoi - a cominciare dalla prossima legge di stabilità che deve essere improntata alla riduzione delle tasse e alla crescita, anche sfidando i vincoli di Bruxelles.
E c'è un altro dato che ai piani alti di Largo del Nazareno stanno analizzando: il risultato negativo in molte città sta lì a dimostrare che non è detto che se si va in coalizione si vince. Dipende dai candidati e dai programmi più che dalle alleanze, è il ragionamento. D’altra parte gli stessi scissionisti bersaniani appoggiano candidati comuni con il Pd quasi ovunque. Ricreare una coalizione di centrosinistra classica a prescindere dal programma (Mdp, va ricordato, ha votato contro la manovrina in Parlamento per via della reintroduzione dei voucher e si appresta a dare battaglia sulla prossima legge di bilancio) potrebbe non essere la ricetta giusta per vincere.
Anche se c'è da scommettere che gli avversari interni ed esterni del Pd a trazione renziana approfitteranno della sconfitta alla comunali per rilanciare l'idea di uno spostamento a sinistra: il guardasigilli e competitor di Renzi alle ultime primarie Andrea Orlando il 27 riunirà la sua area proprio per chiedere una svolta in questo senso, e con Gianni Cuperlo sarà alla manifestazione del 1 luglio a Piazza Santi Apostoli ad ascoltare Giuliano Pisapia che lancerà un nuovo appello per la costruzione di un nuovo centrosinistra senza Renzi candidato premier. Basta ascoltare Arturo Scotto, prima di Sel ora di Mdp, per capire l'aria che tira fuori dal Pd: «La sinistra perde roccaforti storiche. Milioni vnno all'astensione, O si cambia o si muore».
Insomma, le polemiche a sinistra riprenderanno fiato. E un “padre” del Pd come Pierluigi Castagnetti, ultimo segretario del Ppi, ha buon gioco a notare con amarezza su Twitter che «quanti a sinistra da tempo lavorano per logorare il Pd di Renzi stasera possono gioire. Chiamatela gioia, se vi pare«.
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