La Marina militare italiana in acque libiche. È un’ipotesi sempre più concreta. La richiesta formale del governo guidato da Fayez al Serraj alcuni giorni fa è arrivata in Italia. Fa seguito ai colloqui a Tripoli tra Serraj e il ministro dell’Interno Marco Minniti il 13 luglio dopo l’incontro con i sindaci della costa e del confine sud (si veda IlSole24Ore del 14 luglio). Minniti, lo stesso giorno, al rientro in Italia andò a colloquio con il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni.
E oggi Gentiloni riceve Sarraj, reduce dal vertice di ieri a Parigi con il premier Emmanuel Macron e il generale Khalifa Haftar, numero uno in Cirenaica. Il dossier sul contributo della Marina militare italiana in Libia è all’attenzione di Palazzo Chigi e del ministero degli Esteri guidato da Angelino Alfano; lo sviluppo operativo è in capo al dicastero della Difesa di Roberta Pinotti. Inevitabile che la questione oggi faccia parte dei colloqui tra Gentiloni e Serraj.
Alcune opzioni, tuttavia, sono già in fase avanzata. L’invio di una o più unità della Marina segue la presenza già in atto dal 19 luglio nel porto di Tripoli di nave Vaccaro della Guardia di Finanza, lunga 35 metri, con funzioni di supporto e formazione alla Guardia Costiera locale.
Un ruolo di sostegno logistico, addestramento e sviluppo di capacità operative sia per la Guardia costiera sia per la Marina libica è, in sostanza, l’obiettivo e il compito che dovrebbero essere affidato all’unità navale militare da inviare dopo le intese tra Gentiloni e Serraj. Al momento sembra invece improbabile, se non proprio da escludere, un’azione dei nostri marinai svolta in prima linea contro i trafficanti di esseri umani nelle acque libiche. Scenario, quest’ultimo, intriso di complicazioni e controindicazioni di natura giuridica e politica nazionale e internazionale.
Certo, un rafforzamento della nostra presenza militare in quelle acque dovrebbe, di per sé, scoraggiare o essere fattore di deterrenza contro l’azione dei trafficanti di esseri umani. Almeno in teoria.
Oggi Minniti riferirà in un’informativa alle commissioni Esteri e Difesa riunite a palazzo Madama. Il ministro dell’Interno proviene dalla riunione di lunedì a Tunisi del «gruppo di contatto» sulla rotta migratoria nel Mediterraneo centrale dove «si sono aggiunti alla Tunisia e alla Libia l’Algeria, il Niger, il Mali e il Ciad» ha sottolineato il titolare del Viminale.
L’incontro ha prodotto una dichiarazione finale di quattro pagine molto impegnativa. Con tre indirizzi e impegni. «Trattamento delle cause profonde delle migrazioni irregolari» che punta sui processi di sviluppo e di crescita dei paesi d’origine e di transito; «rafforzamento dell’azione e della cooperazione contro il traffico e la tratta dei migranti» e «cooperazione in materia di rimpatri». Ciascun punto è declinato in diversi impegni operativi.
Dal punto di vista dell’Italia, significa tra l’altro accelerare e consolidare quei progetti di sviluppo messi in campo con l’Unione europea. Come la centrale operativa di ricerca e soccorso per Tripoli, allo studio della nostra Guardia Costiera. Un piano di «capacity building», costruzione e rafforzamento delle istituzioni, già presentato a Bruxelles dai nostri tecnici del Viminale. Più tutte le iniziative già in parte illustrate dai sindaci a Minniti nell’incontro del 13 luglio e ora in fase di ultima definizione per poi dare seguito con una presentazione formale.
© Riproduzione riservata