Due indizi, direbbe la giallista Agatha Christie, fanno una coincidenza, non una prova. Ma in politica estera le coincidenze sono cosa rara. Accanto e in parallelo alla stabilizzazione della Libia, l’Italia guarda ai paesi del Sahel per contenere i flussi di migranti e richiedenti asilo diretti in Europa. Oggi pomeriggio il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha incontrato a palazzo Chigi il presidente della Repubblica del Ciad, Idriss Deby Itno, con il quale ha concluso degli accordi in materia di difesa. Assieme a Niger e Mali, il Ciad è uno dei paesi cosiddetti “di transito” nelle rotte migratorie che dall’Africa occidentale raggiungono il Mediterraneo. Con Burkina Faso e Mautitania, i tre fanno parte del G5 del Sahel, una creatura giovane riconosciuta dalle Nazioni Unite ma che ancora non ha raggiunto risultati concreti nel contrasto al terrorismo e al traffico di esseri umani.
Il precedente a Tunisi
Due giorni fa a Tunisi si è riunito il Gruppo di contatto Europa-Africa, di cui fanno parte i principali paesi della Vecchio Continente: Francia, Germania e Italia. All’incontro hanno partecipato i ministri dell’Interno, anche quelli dei governi dei tre paesi africani. Per la prima volta il Mali, che tra i tre è forse quello più in preda all’instabilità, ha avuto la possibilità di partecipare alla riunione di questo gruppo che si propone di governare i flussi migratori.
Francesco Paolo Venier, ambasciatore italiano in Senegal con competenza anche sul Mali, in questi giorni è alla Farnesina per partecipare alla Conferenza degli ambasciatori d'Italia. «Non dobbiamo abbandonare il Mali. Non possiamo rimanere con le mani in mano - spiega l’ambasciatore durante una pausa dei lavori -. L’ho detto anche al ministro Minniti. Dobbiamo convincere le autorità locali a fidarsi di noi. Potremmo offrire una collaborazione nelle forniture, come ad esempio i sistemi di controllo dei confini, e continuare a formare le autorità di polizia locale. Questo dialogo tra noi e le autorità di Bamako oggi c’è, ora è necessario promuovere delle occasioni più strutturate». Insomma la stabilizzazione dei paesi di transito è una chance per attenuare i flussi migratori.
Ambasciatore, oggi in Mali sono attivi gruppi armati di varia natura. Fino ad ora il governo centrale, le forze francesi e la missione Onu Minusma non sono riuscite a stabilizzare il paese. Come è possibile farlo ora nei tempi stretti che la gestione di un’emergenza come quella dei migranti richiederebbe?
Non è un processo del quale si possono vedere i primi frutti nell’immediato. Servono iniziative di lungo periodo. È necessario creare le condizioni perché prenda corpo quello sviluppo economico utile ad arginare i flussi migratori. Oggi non abbiamo una sede diplomatica in quel paese: a mio avviso ci sarebbero le condizioni per aprirla.
Nella sua visita in Libia il 13 luglio il ministro Marco Minniti ha proposto ai sindaci del paese un patto contro i trafficanti. L’obiettivo è promuovere un circuito economico alternativo al business della tratta degli esseri umani. Da dove partiamo?
In Niger e Ciad vedo delle condizioni di stabilità che in Mali effettivamente sono minori. Il Mali è un paese che non è riuscito a superare la guerra civile del 2012 e 2013, conseguente al crollo di Gheddafi in Libia. I paesi di transito possano mettere insieme le loro forze, magari un po' spuntate, per mettere a sistema gli elementi di stabilizzazione. Ritengo lo possano fare con il sostegno dell’Europa.
Che ruolo potrebbe avere l’Italia in questa operazione di stabilizzazione economica e politica?
Di recente noi italiani abbiamo sviluppato in Mali un progetto con francesi e spagnoli per formare le forze di sicurezza del paese impegnate nella lotta ai terroristi e nel contrasto alla tratta degli esseri umani.
Ci sono imprese italiane che operano a Bamako e nelle altre città?
Non molte ma, per quanto ci sia un conflitto in atto e il paese non sia facile, credo che il gioco valga la candela. A primavera abbiamo accompagnato un’impresa italiana che era interessata a fare business nell’ambito delle rinnovabili. È ancora poco, ma un impegno più strutturato da parte dell’Unione Europea e dell’Italia potrebbe aumentare l’interesse delle aziende italiane per questo paese. Abbiamo una forte presenza militare in Libano, mentre è mollto scarsa in Mali, dove peraltro vivono 200 connazionali, tra personale militare e Ong. E non abbiamo un’ambasciata.
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