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La ripresa «riduce» il deficit: dote potenziale da 3,5…

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dopo le stime istat sul pil

La ripresa «riduce» il deficit: dote potenziale da 3,5 miliardi

Un effetto potenziale a beneficio del deficit, quantificabile in 3,4-3,5 miliardi, nel caso in cui il nuovo target per la crescita 2017 si attestasse nei dintorni dell’1,5%, come stimato dall’Istat. In sostanza, l’incremento dello 0,4% del Pil rispetto all’ultima previsione governativa (l’1,1% del Def di aprile) aprirebbe spazi per la prossima manovra, con un caveat non da poco che induce i tecnici del Governo, Palazzo Chigi e il Mef a una certa prudenza: il livello dell’inflazione, che impatta sul deficit nominale, valore fondamentale di riferimento per la manovra e la trattativa con Bruxelles. Il deflatore del Pil (che misura appunto la crescita depurata dall’aumento dei prezzi) non risulta dalle ultime rilevazioni in linea con il valore del Def, che per il 2017 fissa il Pil nominale (comprensivo dunque dell’inflazione) al 2,3 per cento. Ne consegue che per determinare con precisione l’effetto sui conti pubblici della maggiore crescita, occorrerà attendere settembre, e aggiornare il quadro alla luce delle ultimissime rilevazioni Istat.

Prudenza d’obbligo
L’aspettativa è che i mesi estivi possano spingere in alto la dinamica dei prezzi, anche grazie al buon andamento della stagione turistica, e che di conseguenza la spinta dei consumi possa consolidare le componenti fondamentali della domanda interna. La prudenza peraltro è determinata anche dalla preoccupazione di evitare rincorse a veri o presunti “tesoretti” da utilizzare in campagna elettorale, nel corso di una sessione di bilancio che si annuncia a dir poco impegnativa. A complicare il quadro, nel complesso alternarsi di cifre e criteri di calcolo tra Roma e Bruxelles, interviene l’annosa diatriba sulla quantificazione del Pil potenziale.

Effetti negativi della crescita
Il paradosso è che l’aumento della crescita potrebbe incidere a nostro sfavore (in misura peraltro da quantificare) sull’output gap, vale a dire su quell’insieme di indicatori (tra cui Pil, disoccupazione, capacità produttiva, inflazione) utilizzati dalla Commissione Ue per misurare lo scarto tra Pil reale e potenziale. Un criterio di calcolo che – come evidenzia una recente, dettagliata nota di lavoro dell’Ufficio parlamentare di Bilancio – presenta non pochi aspetti problematici. Tutti i modelli utilizzati «identificano la doppia caduta dell’output gap nella recente crisi economica, ma in un range stimato molto ampio che nel 2016 va da 0,5 a -5,3 per cento».

Discrezionalità e parametri
La novità, che pare in linea con la richiesta italiana di dimezzare il taglio del deficit strutturale dallo 0,6 allo 0,3% del Pil, è che l’orientamento cui dovrebbe ispirarsi Bruxelles nel valutare il nuovo quadro macroeconomico in arrivo con la Nota di aggiornamento al Def di fine settembre, vede ora affiancarsi alla tradizionale stima dell’output gap anche un set di parametri in grado di orientare le azioni di politica economica in direzione di una maggiore discrezionalità. Non è chiaro però quale peso sarà attribuito alle diverse, nuove componenti.

Aumento Iva da scongiurare
La valutazione del Mef è che i criteri cui sta lavorando la Commissione Ue consentiranno di ridurre l’aggiustamento di bilancio rispetto a quel che prevede la cosiddetta “matrice”. Non per questo ci si potrà esimere dalla necessità di ridurre il debito e intervenire sulla spesa corrente primaria. Come dire che, “tesoretti” a parte, non si potrà largheggiare più di tanto con la prossima manovra. Le risorse a disposizione, frutto del combinato della maggiore crescita e della nuova flessibilità in arrivo da Bruxelles, dovranno essere ben calibrate, tenendo conto della necessità di neutralizzare le clausole di salvaguardia ora cifrate per il 2018 in 15,2 miliardi. L’imperativo resta dunque evitare l’aumento dell’Iva, utilizzando i margini residui in direzione del taglio del costo del lavoro, in primis per la nuova occupazione giovanile. Non sembrano aprirsi spazi per operazioni di spesa, stile vecchio assalto alla diligenza, tentazione più che mai presente quando si avvicina l’appuntamento con le urne.

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