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Ius soli, il Pd non rinuncia ma al Senato l’ok è difficile

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Ius soli, il Pd non rinuncia ma al Senato l’ok è difficile

(Ansa)
(Ansa)

Le fibrillazioni a sinistra, in attesa del banco di prova delle elezioni siciliane del 5 novembre, passano per tre grandi dossier: lo ius soli, la legge di bilancio e la riforma elettorale. A riaprire la partita sulla cittadinanza - dopo il rinvio all’autunno dell’esame in Senato - sono state le parole di Papa Francesco, un assist per i bersaniani di Mdp, che tornano alla carica con il Pd di Matteo Renzi.

«Che siano da stimolo al Parlamento», si augura il senatore Miguel Gotor, allineato con la posizione espressa da Giuliano Pisapia nei giorni scorsi. «Renzi respinga i diktat di Alfano e lanci un segnale di netta discontinuità con le destre». Le norme della discordia (che disegnano uno ius soli temperato e uno ius culturae), almeno a parole, stanno a cuore al Pd. «Noi siamo intenzionati ad approvarle - sostiene il capogruppo dem alla Camera, Ettore Rosato - e lavoriamo per costruire le condizioni politiche all’interno della maggioranza». Dello stesso parere il presidente dei senatori Pd, Luigi Zanda: «Ho sempre sostenuto il ddl e continuerò a farlo. Rimane l’indicazione che ha dato il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni: questo autunno sarà il tempo dello ius soli».

Ma le intenzioni dovranno vedersela con i numeri (e con la campagna elettorale), che a Palazzo Madama sono sempre più un salto nel buio. Senza un accordo con i centristi, con l’opposizione di Forza Italia, Lega, Fdi e M5S , il provvedimento rischia di finire su un binario morto. Inasprendo ancora di più i rapporti tra il Pd e la sinistra, proprio alla vigilia della sessione di bilancio. I bersaniani continuano a minacciare di far mancare i loro voti sulla manovra se non si cambierà rotta rispetto alle politiche di Renzi. E hanno già segnato sul calendario la data del 20 settembre, entro la quale dovrà essere presentata la Nota di aggiornamento al Def.

Per vararla in Parlamento serve la maggioranza assoluta: al Senato 161 voti. I 16 senatori di Mdp sarebbero determinanti e non si accontentano delle promesse su giovani e lavoro, arrivate anche ieri dal ministro Graziano Delrio. «Le nostre richieste sono chiare», afferma Gotor: «Stop ai bonus, recupero del valore della tassazione progressiva, investimenti su sanità e manutenzione del suolo. No assoluto a nuovi Jobs Act: qualunque intervento di decontribuzione per i giovani deve servire a incentivare il lavoro indeterminato». Il senatore assicura: «Non abbiamo atteggiamenti pregiudiziali. Se vedremo nero su bianco questi impegni bene, altrimenti non si potrà dire che non avevamo avvisato».

La tensione resta alta. E si intreccia con le manovre politiche. Quelle siciliane, con l’alt di Mdp alla grande coalizione con Alternativa popolare, che tra oggi e domani dovrebbe decidere come schierarsi, se con il Pd o con il centrodestra. E quelle nazionali: dopo il gelo di fine luglio e la successiva ricucitura, la marcia dei bersaniani con Campo progressista di Pisapia procede, di pari passo con la chiusura a future alleanze con il Pd a trazione renziana. L’appuntamento clou sarà l’«assemblea democratica» di ottobre sul programma. A novembre, dopo il voto in Sicilia, si tireranno le somme.

Per quella data, sarà più chiaro anche lo scenario della legge elettorale. Il potere contrattuale della sinistra è però minimo: tutto si giocherà di sponda tra Pd, Forza Italia, Lega e M5S. La vecchia proposta dei bersaniani - il Mattarellum 2.0 - ha perso appeal dopo la scissione, anche se resta sul tavolo. La convinzione che serpeggia è che nel 2018 si vada al voto con i due Consultellum. Secondo Mdp, sarebbero il preludio alle larghe intese tra Pd e Fi perché non garantirebbero la maggioranza a nessuno dei tre poli. «Invitiamo ad ascoltare non per finta il richiamo del presidente Mattarella - dice Gotor - e ad armonizzare davvero i due sistemi. Altrimenti ci troveremo alla Camera con collegi di 600mila abitanti e al Senato anche con collegi di 7,8,9 milioni di persone, con le preferenze. Senza finanziamento pubblico ai partiti sarebbe pericolosissimo».

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