Al Viminale non hanno dubbi: il confronto avviato con la Libia, sia con il governo presidenziale di Fayez Al-Serraj sia con i sindaci del Fezzan (il Sud del Paese), che ieri sono stati ricevuti dal ministro Marco Minniti, è la ragione principale di un calo degli sbarchi sulle nostre coste che non ha precedenti. Perché ha frenato l’attività dei trafficanti a cavallo del confine tra Libia, Ciad e Niger. Ora - avvertono dal ministero dell’Interno - bisognerà essere in grado di dare risposte sul finanziamento dei progetti presentati dai sindaci, perché altrimenti la fiducia delle autorità libiche potrebbe venire meno. Una partita, quella delle risorse, che non si può giocare da soli.
Non è un caso che il summit sia avvenuto ieri, alla vigilia dell’incontro di domani a Parigi sull’immigrazione tra il premier Paolo Gentiloni, il presidente francese Emmanuel Macron, la cancelliera Angela Merkel e il premier spagnolo Mariano Rajoy. Saranno presenti attorno al tavolo anche al-Serraj e i presidenti di Niger e Ciad, mentre Minniti dovrebbe vedere a Roma i ministri di Libia, Ciad, Niger e Mali. L’Italia cercherà di giocare la carta dei risultati ottenuti grazie alla «mobilitazione» degli ultimi mesi e al dialogo con le autorità libiche per spingere i partner europei a uno sforzo maggiore, in primis economico.
I numeri raccontano un crollo verticale degli arrivi, cominciato a luglio, aumentato visibilmente dalla seconda metà del mese ed esploso ad agosto. I migranti sbarcati dal 1° luglio al 25 agosto rispetto allo stesso periodo del 2016 sono diminuiti del 68%: 44.846 lo scorso anno, 14.391 questo. Il record è di agosto, con una caduta dell’86 per cento. «E si scenderà ancora», ragiona una fonte dell’Interno. «Perché lo scorso anno in soli quattro giorni, dal 28 al 31 agosto, sbarcarono quasi 14mila persone». L’impatto complessivo si vedrà a fine anno: per ora la differenza con il 2016 calcolata dal 1° gennaio a due giorni fa è del 6,85%in meno.
Logico che dal ministero guidato da Minniti traspaia soddisfazione: la missione italiana in Libia partita proprio ad agosto con il supporto alla Guardia costiera di al-Serraj ha dato subito frutti insperati. Negli stessi giorni è entrato in vigore il protocollo con le Ong, sottoscritto da cinque organizzazioni e rifiutato da Msf (che poi per prima ha annunciato la sospensione delle operazioni di soccorso in mare) e dalla tedesca Jugend Rettet. Nessuno, però, si spinge a sostenere che il codice di condotta pesi nella frenata degli arrivi.«Ha semplicemente fissato delle regole già previste dalle norme internazionali», è il ritornello. Alimentare nuove polemiche con le Ong non è l’obiettivo del governo. Insistere sulla Libia, invece, lo è. Anche e soprattutto rafforzando il pressing sull’Ue su due partite economiche considerate strategiche per sventare nuove emergenze e tenere bassa la pressione migratoria: il finanziamento dell’intero progetto da 270 milioni fino al 2026 proposto dal Viminale per il rafforzamento delle capacità libiche di gestione delle frontiere marittime e terrestri, per cui finora sono stati assegnati solo 46 milioni; risorse ad hoc per finanziare i circa venti progetti avanzati al momento dai sindaci libici, che vanno dall’ambito sanitario alla formazione.
Va letta così la nota finale dell’incontro tra Minniti e i sindaci (che segue l’accordo del 29 marzo scorso a Roma e un altro vertice il 13 luglio a Tripoli). I trafficanti sono definiti «un nemico comune». L’impegno condiviso da Italia e Libia è individuato nel « fornire alternative di crescita e sviluppo» alle comunità locali più duramente colpite dal traffico di esseri umani. E sono registrate le aspettative della Libia sul «tempestivo sostegno» dell’Italia e dell’Ue ai progetti «finalizzati al miglioramento delle condizioni di chi vive nelle aree colpite dai traffici illegali». Un altro segnale rivolto a Bruxelles.
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