È tempo di tapering, di riduzione del QE, ma non è tempo per l'Europa di sedersi sugli allori della crescita. «Non dobbiamo essere compiacenti per dove siamo arrivati. L'Eurozona è alla rincorsa degli Stati Uniti che sono avanti a noi nel ciclo economico di due, tre anni, il nostro ciclo è in ritardo anche perché noi abbiamo dovuto affrontare la crisi del debito sovrano, che gli americani non hanno avuto, e questo ha rallentato la nostra ripresa. Abbiamo ancora una disoccupazione molto alta nell'Eurozona a differenza degli Usa dove è molto bassa, paesi come l'Italia e la Francia devono fare le riforme strutturali, c'è ancora molto lavoro da fare e lavoro duro, e la Bce non è la sola a poter agire».
Jean-Claude Trichet, ex presidente della Bce, non è preoccupato per l'impatto che il tapering può avere sui mercati, «la riduzione degli acquisti non è una sorpresa, sarà graduale, la Banca si muoverà in maniera cauta e prudente» dice. Ma quello che lo impensierisce di più è quel che manca ancora da fare in Europa per irrobustire il ciclo, anche perché «prima o poi la recessione arriverà negli Usa, dove il ciclo sta durando molto (nove anni)».
Ai margini del Forum The European House- Ambrosetti a Cernobbio, Trichet spiega la differenza tra la Federal Reserve, che inizia a ridurre le dimensioni del suo bilancio e la Bce che invece inizierà a diminuire gli acquisti mensili ma continuerà il QE nel 2018. «Questa differenza è presto spiegata, l'Europa è indietro nel ciclo economico rispetto agli Usa, per questo i tassi d'interesse americani sono più alti di quelli dell'eurozona - puntualizza Trichet - sottolineando come la crescita europea sia molto buona: gli indici PMI, l'indice manifatturiero, sono al picco degli ultimi sei anni e la fiducia degli imprenditori è al massimo degli ultimi dieci anni. Ed è per questo che l'euro si è rafforzato, non per il tapering, ma per la crescita».
Sull'euro, Trichet ritiene che più che un apprezzamento della valuta europea, il fenomeno in corso più rilevante è l'indebolimento del dollaro Usa che si è deprezzato contro tutte le valute del suo trading basket. «La debolezza del dollaro è dovuta alla difficoltà dell'amministrazione Trump di tener fede alle promesse fatte, per quanto riguarda gli investimenti e i tagli delle tasse. Su questo, Trump è in stallo. E non c'è stata la “delivery” che i mercati si attendevano», rimarca Trichet, aggiungendo che un altro elemento che spiega la debolezza del dollaro è l'inflazione è che più bassa del previsto, «qualcosa che può deludere la Fed».
L'inflazione è il grande punto interrogativo di questo momento storico, non solo per le banche centrali ma per gli economisti di tutto il mondo. Perché la crescita non sta spingendo l'inflazione verso quel famoso 2% adottato come target dalle principali banche centrali del mondo? Trichet a questo riguardo è tranquillo, e difende a spada tratta il targeting della Bce per un'inflazione vicina ma sotto al 2%. «La core inflation è all'1,2% ma questo non significa che il target vada cambiato. L'economia cresce e questo farà salire l'inflazione, ne sono convinto. Sarebbe un enorme errore se la Bce modificasse il target, è giusto mirare al 2% per la stabilità dei prezzi sul medio termine. Io ho difeso il 2% quando c'era chi premeva per metterlo al 4%, allora dissi che sarebbe stato un errore. Ebbene, adesso ci sono economisti che propongono il target allo zero per cento. E io continuo a difendere il 2%, che è stato adottato inizialmente dalla Bce e dalla Bank of England e che poi, tra il 2011 e il 2012, è diventato anche il target della Federal Reserve e della Bank of Japan. Sono contento che siamo in quattro in questo club del 2%».
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