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ricetta per la ue

Fuest (IFO): «Più riforme, più investimenti pubblici e meno tasse per la crescita: ma Italia, attenzione al debito pubblico»

Clemens Fuest, direttore dell'istituto di ricerca economica Ifo (Reuters)
Clemens Fuest, direttore dell'istituto di ricerca economica Ifo (Reuters)

Più riforme strutturali per rafforzare la crescita e recuperare competitività, più investimenti pubblici ma anche maggiore attenzione al debito pubblico e infine una proposta operativa di mercato sul tavolo: la creazione degli “accountability bonds”, una nuova classe di titoli di Stato junior, quindi di livello subordinato rispetto ai titoli di Stato che rifinanziano lo stock di debito pubblico in essere. Questi speciali titoli di Stato non possono essere acquistati dalla Bce nel QE e dalle banche senza accantonamento di capitale: servono esclusivamente a rifinanziare il deficit che va oltre il deficit strutturale consentito dai trattati europei.

E' questa la ricetta, un misto di interventi classici e strumenti innovativi, di Professor Clemens Fuest, Presidente dell'Istituto tedesco Ifo che si trova oggi a Roma per un dibattito con Luca Paolazzi, direttore del centro studi di Confindustria promosso dall'ambasciata tedesca sul futuro dell'Unione economica e monetaria europea. In un'intervista esclusiva al Sole24Ore , Fuest spiega la sua visione dell'Italia e dell'Eurozona.

L'Italia sta registrando una crescita economica migliore del previsto, i problemi delle banche si stanno risolvendo, alcune importanti riforme strutturali sono state fatte. Come valuta questi progressi in Italia?

L'Italia resta in una situazione economica molto seria, grave: avete bisogno di un sistema di tassazione più mirato per favorire la crescita e tagli alla spesa pubblica per ridurre il debito pubblico ma abbinati a maggiori investimenti pubblici, quindi occorre una ristrutturazione complessiva della spesa pubblica. Avete tagliato gli investimenti pubblici e questo non è sostenibile. E se ottenere il consolidamento dei conti pubblici con l'aumento della tassazione, distruggete la competitività. La produttività in Italia non cresce più dal 1995, e con essa anche la competitività è calata. Prima di allora, negli anni '70, '80 e per metà degli anni '90 l'Italia cresceva in linea con Germania e Francia ma dal 1995 si è fermata. Colpa, credo, della combinazione di tre fattori: il cambio fisso dell'euro, la competizione dei Paesi emergenti come la Cina e il fallimento del governo Berlusconi di implementare le riforme strutturali. Nonostante i bassi tassi d'interesse con l'ingresso dell'Italia nell'euro, il vostro debito pubblico è esploso. C'è qualcosa di strutturale che non va e va corretto in fretta. Avete perso un ventennio e dovete ora agire urgentemente adottando più riforme strutturali, siete molto indietro con lo sviluppo tecnologico e dovete fare di più per risolvere il problema della disoccupazione giovanile, dovete arrestare la “fuga dei cervelli”.

“Avete perso un ventennio e dovete ora agire urgentemente adottando più riforme strutturali, siete indietro con lo sviluppo tecnologico e dovete arrestare la "fuga dei cervelli"”

Professor Clemens Fuest, presidente Ifo 

L'Italia farà la sua parte, ma anche i partners europei possono fare di più: la Germania potrebbe usare il surplus primario per aumentare gli investimenti, non crede?

In Germania dobbiamo assolutamente ridurre il debito/Pil: stiamo mirando al 60%, dobbiamo tagliare questo rapporto adesso. L'invecchiamento della nostra popolazione è più rapido di quello di qualsiasi altro Paese europeo. Il surplus di bilancio ora è buono perché i baby boomers hanno portato al picco la nostra produttività. Ma tra 10 anni questi baby boomers diventeranno pensionati e questo avrà un impatto molto forte sui conti pubblici. Abbiamo un sistema pensionistico molto più generoso di quello italiano e tra dieci anni il nostro debito pubblico salirà. Per questo va ridotto ora con il surplus. Continuiamo in Germania a fare investimenti pubblici e privati, sono al 20% del Pil, mentre negli Usa e in Italia gli investimenti sono calati: anche se i nostri investimenti, ammetto, non stanno esplodendo nonostante la crescita.

L'Eurozona potrebbe fare di più: cresce meglio del previsto, la grande crisi bancaria e finanziaria sembra oramai alle spalle. Ma stentano i progressi sul fronte dell'Unione fiscale e dell'Unione bancaria. Perché? Che fare?

Unione fiscale e Unione bancaria sono due processi molto lunghi. E mancano ancora le basi. Nessuno vuole delegare a livello europeo le decisioni di politica fiscale, che sono di impatto nazionale e dunque interessano i politici perchè coinvolgono i cittadini: decisioni sulle tasse, sulle pensioni, per esempio. E questa mancanza di delega europea ha delle conseguenze. Fino a che non ci sarà un controllo europeo sui debiti pubblici nazionali, non ci potrà essere la mutualizzazione dei debiti nazionali e la creazione degli eurobond, cioè del debito pubblico europeo. I controlli? Il Fiscal compact, i trattati, le regole fiscali europee non sono obbligatori e non vengono imposti, sono un metodo di coordinamento e supervisione ma sono deboli. All'Ifo abbiamo calcolato che la regola del deficit/Pil al 3% è stata violata ben 168 volte, e per primi siamo stati noi, la Germania con la Francia, a infrangere la regola. E solo perché non ci piaceva: in momenti di crisi, dunque, è prevedibile che le regole europee non vengano rispettate, e dobbiamo convivere con questa realtà che frena l’Unione fiscale. In quanto all'Unione bancaria, si è arenata sulla garanzia unica europea sui depositi perché la situazione è molto asimmetrica, ci sono banche che, come quelle italiane, hanno troppi NPLs. Inutile introdurre un'assicurazione quando il danno c'è già. Quel che va fatto assolutamente, è ridurre i titoli di Stato nei bilanci delle banche: questo è stato il motivo per il quale è esplosa la crisi del debito sovrano, non abbiamo potuto gestire l'insolvenza degli stati spalmando le perdite sui creditori privati perché le banche erano troppo esposte al rischio sovrano. I titoli di Stato europei non sono risk free, la Bce non è la Federal reserve. Le banche ne devono detenere di meno.

Le OMTs, il QE però sta funzionando, anche se i titoli di Stato finiscono nell’Eurosistema. Si può delegare tutto alla Bce?

Le OMTs sono un invito ad aumentare il debito pubblico ma non possono essere smantellate perché senza OMTs ci potrebbe essere un'altra crisi: lo spread BTP/Bund secondo me schizzerebbe al'insù a livelli altissimi, senza OMTs. Solo dopo aver ridotto la quota dei titoli di Stato nei bilanci delle banche si potrà fare a meno del le OMTs. Serve altro, ora.

Cosa?

Io ripropongo gli accountability bonds. Si tratta di una nuova classe di titoli di Stato a livello junior, come fosse un debito pubblico subordinato. Gil accountability bonds verrebbero emessi dagli Stati con aste pubbliche da collocare sul mercato solo per rifinanziare il debito creato con il deficit in eccesso a quello consentito dal Fiscal Compact, il livello più alto del deficit strutturale. Questi speciali titoli di Stato hanno caratteristiche speciali che li subordinano agli altri titoli di Stato già in circolazione e noti: le banche potrebbero detenerli solo accantonando capitale per il rischio e la Bce non potrebbe comprarli nel QE. Questo costringerebbe gli Stati che vogliono aumentare il debito pubblico, oltre il livello consentito dal deficit strutturale, a rifinanziare quell'aumento chiedendo per quella quota di debito un prestito junior direttamente al mercato. Il rischio di debito eccessivo quindi verrebbe scaricato sul mercato.

Non si corre il rischio di peggiorare il rifinanziamento del debito pregresso con gli accountability bond, anche se questi sono legati ai flussi e non allo stock?

No, non vi sarebbe questo impatto negativo. Al contrario: gli accountability bonds riducono l'azzardo morale sull'aumento del debito pubblico futuro. Se l’Italia riesce a convincere il mercato a farsi fare un prestito per questa quota di debito in eccesso, subordinata allo stock esistente, ben venga: Germania e Francia a quel punto non avrebbero nulla da obiettare.

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