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Ryanair: l’autogol di O’Leary si chiama dumping sociale

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il costo del lavoro sotto il 10% dei ricavi

Ryanair: l’autogol di O’Leary si chiama dumping sociale

(Bloomberg)
(Bloomberg)

Questa volta il suo meraviglioso giocattolino gli è esploso tra le mani. Per anni O'Leary, il dominus di Ryanair è stato portato in palmo di mano da analisti e osservatori per quel prodigio di redditività che era, ed è, il vettore low cost irlandese. Nessuno come lui si è mai avvicinato a quei primati di utili sfornati ogni anno dalla compagnia. Nessuno. Né EasyJet, né tanto meno i vettori di bandiera sono mai stati in grado di eguagliare la sua efficienza operativa e gestionale. Ma dietro quel presunto miracolo c'era il trucco che ora è venuto a galla prepontemente con il blocco dei voli per mancanza di personale.

Quel trucchetto si chiama volgarmente “dumping sociale”. Buona parte degli utili prodotti, ben sopra la media del comparto, vengono infatti da una politica dei costi, soprattutto quelli del lavoro, che più sparagnina non si può.

Un costo del lavoro da record (al ribasso)
Ryanair ha il costo del lavoro più basso in assoluto del settore. Il costo di piloti, steward, assistenti e personale di terra pesa per soli 5 euro per ogni passeggero trasportato. come esplicita la presentazione dell'ultimo strepitoso bilancio della compagnia irlandese.

Costa di meno della manutenzione e dei servizi aeroportuali di handling. E vale la metà del costo per passeggero di Easyjet, un terzo di Norwegian airlines, per non parlare dei vettori di bandiera. Espresso in valori assoluti ecco che il costo del lavoro in Ryanair vale solo 633 milioni di euro, meno del 10% dei ricavi totali che nel 2017 hanno superato 6,6 miliardi.
Costi così bassi sul fatturato li trovi nell'industria manifatturiera matura, li trovi in certo terziario o quaternario avanzato, li trovi forse nelle start up tecnologiche. Non li trovi da nessuna parte nel comparto aereo. Nè nei rivali low cost, nè tantomeno nei giganti di bandiera. È uno delle architravi del successo di Ryanair.

Un miracolo di profittabilità che non ha pari nel settore, distanziando anche il rivale più prossimo che è Easyjet. Ovvio che se sei in grado di limare il più possibile i tuoi fattori di costo, puoi giocarti la carta del low fare. Le tariffe così concorrenziali che ti fanno magari perdere ricavi unitari ma che attirano sempre più volumi di passeggeri.

Ryanair fa volare infatti 120 milioni di passeggeri l'anno, sei volte più di Alitalia, e quel trend di continua espansione dei clienti consente a quel genio di O'Leary di giocarsi la carta dei continui ribassi di tariffa.

Sbaragliare la concorrenza... ma a che prezzo?
Un gioco che mette fuori rotta la concorrenza che non può contare su tanta e tale (bassa) incidenza dei costi. Letta così quel capolavoro della lunga galoppata dei profitti della compagnia irlandese ha sempre meno l'aria di un successo estemporaneo. Oggi si guarda al bilancio appena approvato come a un'annata d'oro contrapposta ad esempio alle difficoltà che sta incontrando Easyjet. Ma non c'è niente di episodico nella cavalcata trionfale di Ryanair. La profittabilità netta è ormai al 20%. Ogni 100 euro di ricavi, 20 si trasformano in utili netti. Nessun competitor vanta questo primato. Primato che però viene da lontano. E non ha eguali. Già nel 2010 la redditività operativa del vettore irlandese viaggiava ben sopra il 10%. Ora è arrivata a superare ampiamente il 20%.
Certo una mano l'ha data il continuo incremento dei ricavi andati di fatto al raddoppio negli ultimi sei anni. Ryanair fatturava 3 miliardi nel 2010 oggi è a 6,6 miliardi. Una corsa esplosiva di crescita. Nuove rotte, nuovi passeggeri anno su anno. Ma con la forza lavoro rimasta inadeguata a sorreggere i nuovi volumi e le nuove rotte. Quella corda è stata tirata per troppo tempo e ora si è irrimediabilmente rotta con ricadute pesanti per il futuro sulla creatura di O'Leary.

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