Ad aprire le danze è il fondatore del Pd Walter Veltroni, sabato scorso sul palco dell’Eliseo per i dieci anni del partito assieme al segretario Matteo Renzi e al premier Paolo Gentiloni: «Da sempre la Banca d’Italia è un patrimonio di indipendenza e di autonomia per l’intero Paese. Per questo mi appare incomprensibile e ingiustificabile la mozione parlamentare del Pd». Segue il ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda: «Non commento per carità di patria».
Poi l’affondo del presidente emerito Giorgio Napolitano: «Non devo occuparmi delle troppe cose che ogni giorno accadono e che sono deplorevoli». Infine il capogruppo dei senatori del Pd Luigi Zanda dopo un colloquio di una ventina di minuti con Gentiloni, ieri in Senato per riferire sul vertice Ue di oggi e domani: «Quando si tratta di questioni che hanno a che fare con il risparmio dei cittadini e con la stabilità del sistema bancario bisogna sempre usare il massimo della prudenza possibile. E questo significa che meno mozioni si fanno meglio è».
Il meno che si possa dire è che sulla vicenda Bankitalia Matteo Renzi è isolato all’interno del suo stesso partito. Ma la decisione del gruppo Pd alla Camera di presentare (e approvare) una mozione di maggioranza che chiede di fatto una fase nuova in Bankitalia proprio nei giorni in cui scade il mandato del governatore Ignazio Visco è difesa, anche a freddo, dal leader del Pd. Che anzi rilancia, nonostante il “cordone sanitario” che nella giornata di ieri sembra essersi alzato da dentro il Pd attorno a Via Nazionale: «La nostra mozione di martedì spiega con forza che c’è bisogno di una pagina nuova», ribadisce Renzi. Notando maliziosamente che «la mozione l’ha votata il Pd sulla base delle indicazioni del governo».
Il punto è che Renzi pensa già alla campagna elettorale. E non ci sta a passare «per il difensore delle banche» e dell’«establishment». Né ci sta a far ridurre le crisi bancarie degli ultimi anni al caso Banca Etruria come vorrebbe il M5S per metterlo sotto accusa tramite la famiglia Boschi: «Pensiamo davvero che i problemi delle banche in Italia si esauriscono nel caso Etruria?». Insomma Renzi tiene il punto, consapevole di essere isolato ma convinto di essere «in sintonia» con l’opinione pubblica su un tema popolare come quello delle banche e del mancato controllo. Tirando la corda fino al punto di rottura con il Capo dello Stato e fino al gelo, inedito, con Gentiloni.
Ora la palla è nel campo di Palazzo Chigi, che deve attivare la procedura per la riconferma di Ignazio Visco o per la nomina di un suo successore. Entrambe le strade sono giudicate complicate e piene di elementi contrari. Perché se da una parte - è il ragionamento che si fa in ambienti parlamentari e anche a Palazzo Chigi - il voto di quasi tutta la Camera contro Visco (se si sommano le mozioni delle opposizioni e quella della maggioranza) rende più difficile il rinnovo del mandato, dall’altra un cambio del vertice di Via Nazionale dopo il “siluro” del Pd aprirebbe la porta ad un’ingerenza della politica e del Parlamento nella nomina del governatore di Bankitalia inedita ed esclusa dalla legge. Gentiloni sta valutando come muoversi e sembra intenzionato a chiudere la partita la prossima settimana (la dead line potrebbe essere il Cdm del 27 ottobre). Ma c’è anche l’ipotesi che la decisione venga presa nelle prossime ore, entro un paio di giorni.
Da parte sua il governatore si è reso protagonista, ieri, di un certo attivismo: prima la vigorosa stretta di mano con il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan durante la commemorazione di Federico Caffè; poi l’incontro a Palazzo San Macuto con il presidente della commissione di inchiesta sulle banche Pier Ferdinando Casini, alla presenza dei due vicepresidenti (Renato Brunetta, di Fi, e Mauro Maria Marino, del Pd), durante il quale Visco ha fornito l’elenco dei documenti richiesti che saranno messi a disposizione non appena ultimata la classificazione in Bankitalia. Un attivismo che viene letto in ambienti della politica come volontà di andare al contrattacco e che denoterebbe, al momento, la non intenzione di Visco di fare quel passo indietro pure auspicato da qualcuno per uscire dall’impasse. Sulla vicenda, infine, va segnalata la “neutralità” di Confindustria: «C’è un criterio istituzionale da cui deriva la nomina, e c’è un grande partito che ha espresso la sua direzione di marcia: non tocca a noi entrare nel merito di queste cose», sono le parole del presidente Vincenzo Boccia.
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