È tornato ad animarsi il confronto tra Roma e Bruxelles sul futuro dei conti pubblici. In una lettera inviata a Roma, la Commissione ha chiesto ieri all’Italia dettagli sul bilancio per il 2018. Bruxelles non è convinta della manovra di aggiustamento strutturale che ritiene insufficiente per evitare una grave deviazione delle finanze statali rispetto all’obiettivo di medio termine. Dal governo si dicono fiduciosi sul fatto che anche questa volta i chiarimenti riusciranno a superare le obiezioni europee.
«Per il 2018, la Finanziaria prevede uno sforzo strutturale dello 0,3% del prodotto interno lordo – si legge nella lettera datata 27 ottobre e firmata dal vice presidente Valdis Dombrovskis e dal commissario agli affari monetari Pierre Moscovici -. Una volta ricalcolato lo sforzo sulla base del metodo adottato consensualmente per valutare la crescita potenziale, si ottiene un risultato pari allo 0,2%».
Un aggiustamento dello 0,2% del Pil è inferiore a uno sforzo di almeno lo 0,6% che l’Italia dovrebbe compiere secondo le regole del Patto di stabilità e crescita. In una lettera inviata in giugno, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan aveva proposto per il 2018 un aggiustamento strutturale del deficit dello 0,3%, tenendo conto della crescita bassa, dell’adozione di riforme economiche, delle uscite straordinarie provocate dalle emergenze rifugiati e terremoto (si veda Il Sole 24 Ore del 2 giugno).
La Commissione aveva risposto al ministro Padoan in modo interlocutorio. Evidentemente, la manovra 2018 non convince neppure se l’obiettivo concordato dovesse essere una riduzione del disavanzo strutturale dello 0,3% del Pil. L’esecutivo comunitario vorrebbe ricevere maggiori precisazioni dal governo entro martedì. La situazione è complicata dal fatto che Bruxelles prevede una significativa deviazione dei conti pubblici anche per quanto riguarda il 2017.
In particolare, la Commissione fa notare che «l’aumento previsto della spesa pubblica primaria netta è superiore all’obiettivo di una riduzione di almeno l’1,4%» (stesso problema è notato per il 2017). La lettera di Bruxelles è per certi versi di maniera (una manciata di paesi, tra cui la Francia, ha ricevuto una richiesta di informazioni). Non c’è desiderio di mettere in difficoltà il governo Gentiloni a ridosso del voto. Interessante è il riferimento alla spesa legata all’emergenza migranti. Nel chiedere dettagli, Bruxelles sembra pronta a tenerne conto nel calcolare l’obiettivo di riduzione del deficit. Ciò detto, la Commissione deve far rispettare il Patto; chiede manovre precise; e vuole coprirsi le spalle da eventuali critiche di paesi insoddisfatti da ciò che ritengono una eccessiva discrezionalità nell’analisi dei bilanci.
A Roma, la lettera viene interpretata come una tappa «abituale» nelle discussioni sulle manovre. Si fa notare che la flessibilità di bilancio non viene messa in discussione, perché Bruxelles ribadisce come il giudizio atteso per il 22 novembre terrà in considerazione le esigenze della ripresa oltre a quelle della sostenibilità dei conti pubblici. In caso di violazioni gravi delle regole, è il ragionamento, Bruxelles avrebbe potuto rigettare del tutto la manovra, ma non l’ha fatto. «L’Italia rispetta le regole Ue», è la posizione.
Ancora una volta, però, torna sotto la lente Ue il carattere strutturale o meno delle misure italiane. Nelle entrate, oltre alla grossa spinta delle rottamazioni fiscali che nella loro prima versione hanno aiutato con 1,1 miliardi a coprire le delusioni della voluntary-bis (per la regolarizzazione dei capitali all’estero) ma nella replica portano un miliardo per lo stop alle clausole Iva 2018, spicca il rinvio dell’Iri, la flat tax per le piccole partite Iva. Nei calcoli italiani la mossa vale 2,15 miliardi, strutturali perché mantengono in vita il sistema attuale, destinato però a tramontare nel 2019.
La nuova proroga delle rivalutazioni di terreni e partecipazioni dà un altro aiuto da 350 milioni, anche questo conteggiato nel saldo sotto esame a Bruxelles insieme ai frutti stimati dalle misure anti-evasione. Ma nemmeno sul lato delle spese mancano voci il cui carattere strutturale va dimostrato: il rinvio dei trasferimenti a Ferrovie e ad altri enti pubblici porta 2,2 miliardi, prima di tutto, senza dimenticare il confronto con Bruxelles sulle ricadute degli interventi salva-banche in termini di deficit e di debito.
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