Con le promesse tutti bravissimi. Con le parole tutti bravi. Con i fatti meno. Anche questa campagna elettorale, come le precedenti regionali in Sicilia, non fa eccezione. E così, a guardare le promesse programmatiche o a sentire le chiacchiere a briglia sciolta, i candidati Governatori non temono confronti e paragoni: la lotta per ripristinare trasparenza, legalità e contrastare gli interessi di Cosa nostra è in cima ai loro pensieri.
Peccato che Cosa nostra e i sistemi criminali integrati siano ormai pozioni liquide e gassose che si muovono senza far rumore e odore in ogni ganglo dell'attività economica e sociale e, dunque, a nulla vale limitarsi ai pensieri. Servono azioni.
Il centrodestra di Musumeci
Le dichiarazioni programmatiche del centrodestra – ma, sia chiaro, di quasi tutti i candidati all'Assemblea regionale siciliana di quasi tutte le coalizioni in campo – sono general-generiche sul punto. Si legge che «la lotta al clientelismo, alla corruzione e alla criminalità organizzata che hanno umiliato ed impoverito questa straordinaria terra debbono proseguire senza sosta e trovare nell'amministrazione sostegno e garanzia». Tutto qui? Si tutto qui e nessun accenno a come questo si declini in temi vitali per lo sviluppo dell'isola nei quali Cosa nostra ha da decenni radici profondissime: appalti, sanità e welfare, energia, ambiente.
Il candidato del centrodestra Nello Musumeci gioca personalmente sui trascorsi della sua immagine di uomo limpido e presidente della Commissione regionale antimafia che comunque, stando ai risultati prodotti, non sembra aver lasciato traccia neppure nell'ultima legislatura nella quale ha convocato 172 sedute. Peccato che in politica non basti un'immagine riflessa (a maggior ragione al Sud) e così in questa lunga campagna elettorale non sono mancati gli attacchi degli altri (presunti) leader siciliani a liste infarcite di gente indagata, pregiudicata e discutibile nelle liste a sostegno di Musumeci. Liste che porteranno eletti con i quali, inevitabilmente, il politico catanese di lungo corso dovrà fare inevitabilmente pesanti conti se dovesse diventare presidente della Sicilia. E anche se non dovesse diventarlo.
Il M5S di Cancelleri
Il nisseno Giancarlo Cancelleri, candidato Governatore del M5S, ha giocato tutta la campagna elettorale a parlare di programma che nasceva e si sviluppava in corso d'opera, lungo la direttrice del tour che da quest'estate lo ha portato a toccare centinaia di comuni siciliani. Ha passato il tempo a gridare, fino all'ultimo, che la mafia, lui e il suo movimento, la combattono con i fatti e non a parole. I fatti non si sono ancora visti non solo perché non governano la Regione ma anche perché dove guidano le amministrazioni comunali non sembrano aver inciso in alcun modo. «Vogliamo essere chiari – ha scritto sul suo blog – nel nostro programma non troverete ricette miracolistiche o trucchi, ma troverete tantissime idee realistiche ed ottimi progetti per i disoccupati, per gli inoccupati, per i giovani, i meno giovani e le imprese; soffocate da tasse, burocrazia, carenza di servizi e infrastrutture praticamente inesistenti».
Leggi il programma completo scaricabile dal sito e ti trovi di fronte a ben 103 pagine con la premessa di Gianroberto Casaleggio: «Non basta osservare quello che il MoVimento fa o non fa. Se uno ci crede deve diventare attivo, altrimenti perderemo, altrimenti è inutile votarci. In Parlamento saremo magari cento, ma saremo dieci milioni fuori. Se ci sarà uno scambio continuo, attraverso la rete, attraverso quello che riusciremo fare con i banchetti sulle strade per chi non ha la rete, facendo arrivare le informazioni a tutti, allora potremo dire di aver comunque vinto».
Nel programma c'è un capitolo di cinque pagine fitte sulla promozione della cultura della legalità nelle quali spiccano gli investimenti sulla formazione dei dirigenti, la regolamentazione dei contributi regionali alle associazioni antiracket, l'introduzione dell'obbligo per la Regione di acquisire sempre la documentazione antimafia e di procedere agli accertamenti sulla sussistenza dei requisiti e sulla veridicità della documentazione presentata, la trasparenza in settori particolarmente complessi ed esposti come sanità e appalti pubblici. Il pallino fisso del M5S in Sicilia, messo nero su bianco anche nel programma, è comunque la legalità nel settore dei rifiuti.
Il centrosinistra di Micari
Fabrizio Micari e la sua "sfida gentile" da candidato governatore del centrosinistra nelle piazze (che non ha certo surriscaldato parlando di lotta a Cosa nostra e della sua faccia speculare, vale a dire la c corruzione) parte da un programma snello di 23 pagine (Sicilia 2030 - Lavoro, diritti, territorio) piene zeppe di grafici, specchietti e tabelle.
A pagina 3 si legge: «Insieme con umiltà e determinazione risolveremo e combatteremo tutte le forme di diseguaglianza che attraversano i nostri territori. La mia presidenza affermerà con forza che una nuova politica è possibile, che è possibile mettere al centro del proprio programma legalità e trasparenza, che è possibile tornare ad una politica della dignità, attuando quei diritti costituzionali che in Sicilia ancora faticano a concretizzarsi».
Le parole mafia o Cosa nostra non sono mai citate ma in compenso si parla di legalità nelle trattative economiche. Con una frase.
I cento passi di Fava
Se Micari ha sventolato le sue liste pulite, Claudio Fava, vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia e figlio di Pippo Fava, giornalista ucciso da Cosa nostra, è andato oltre con la sua lista "Cento passi per la Sicilia", sostenendo a ogni piè sospinto che il casellario giudiziario, da solo, non basta e spesso inganna. Ha passato la campagna elettorale a rinfacciare al Pd e ai renziani la spaccatura a sinistra (amorevolmente ricambiato con eguale e contraria critica), a ricordare che le liste del centrodestra sono zeppe di impresentabili e a rammentare al M5S che fugge davanti alla parola mafia. Al netto di questi passaggi, sul sito – dove si presenta come «scandalosamente onesto» – il programma molto asciutto, prevede un lungo passaggio sui temi della legalità e del contrasto alla criminalità organizzata. «La trasparenza della pubblica amministrazione, con particolare riferimento alla lotta alla corruzione e ai legami tra la politica e la criminalità mafiosa – si legge nel documento – è un presupposto per qualsiasi buona pratica amministrativa. Ma non può limitarsi, come accade ora, a un semplice titolo da apporre a qualche documento ufficiale. La trasparenza non si dà per certificato ma si pratica monte, si garantisce e si pretende. Senza delegare questa funzione di controllo e di prevenzione alle sentenze dei tribunali. Ma non basta. Occorre prevedere processi permanenti di pubblica consultazione, in alcuni casi dal valore vincolante, sulle decisioni strategiche che coinvolgono la vita dei cittadini. Processi di audit pubblico devono essere obbligatori e normati. I cittadini devono essere coinvolti per affiancare costantemente il governo della Regione.
La lotta alle mafie va considerata presupposto fondativo di qualsiasi idea di buon governo in Sicilia (e ovunque). Rendere impermeabile l'amministrazione e la spesa pubblica vuol dire rendere autonoma la politica dai poteri criminali. Lo scioglimento per mafia di molti comuni siciliani, la presenza di consiglieri comunali e amministratori espressione di consolidate famiglie criminali, le evidenze di molte inchieste giudiziarie ci dicono che questa battaglia – benché colpevolmente assente dal dibattito politico di questi mesi – resta per noi centrale».
I siciliani liberi di La Rosa
L'indipendentista Roberto La Rosa nel programma di Siciliani Liberi con il quale aspira a diventare Governatore, parla di promozione della legalità, di trasparenza nella pubblica amministrazione e lotta all'abusivismo anche ricorrendo alla forza pubblica. Di più non dice anche se, a ben vedere, sul punto è più prolifico di altri programmi sbandierati da tanti candidati all'Assemblea regionale.
Parola a Tano Grasso
Tano Grasso, fondatore della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (Fai) commenta la campagna elettorale ma, soprattutto, si proietta oltre il voto di domenica 5 novembre. Se gli si domanda da dove dovrà ripartire concretamente e non con le promesse o le parole il nuovo Governatore, risponde che «bisogna che le istituzioni sostengano tutte le associazioni a sostegno delle vittime. Chiunque vinca dovrà dare forza alle esperienze associazionistiche a tutela delle vittime di mafia. Senza associazionismo le vittime non denunciano. Ho proposto e propongo rigore e che si applichi lo stesso criterio sugli appalti: si può essere soci delle associazioni antiracket solo in presenza di certificazione antimafia».
Se, invece, gli domandi se la stagione antimafia, che fino a tre anni fa ha visto sfilare come protagonista attiva Confindustria e un nuovo popolo di imprenditori ora ridotto al silenzio, è finita, sconsolato afferma; «Che si sia chiusa una stagione non c'è dubbio, soprattutto l'antimafia civile. Non sempre siamo riusciti a fare autocritica. Probabilmente non siamo stati all'altezza della chiusura della stagione che si chiude per la politicizzazione dell'antimafia. La stagione si chiude anche per quella antimafia retorica e di facciata esplosa anche nelle indagini giudiziarie. Bisogna ricostruire su nuove basi».
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