In Svizzera arrivano sempre più multe per infrazioni commesse in Italia, tanto che il locale touring club offre un servizio di consulenza ai propri soci che ricevono i verbali. Ma non bisogna farsi ingannare dalle apparenze: la riscossione all’estero rimane comunque molto difficile per le istituzioni italiane, per tanti motivi. Dai “buchi” lasciati dalla recente direttiva europea in materia (la 2015/413) a quelli del Codice della strada (articolo 207), fino a varie difficoltà pratiche. Per migliorare la situazione, si potrebbe ritoccare la normativa nazionale.
La direttiva, di fatto, ha facilitato solo la ricerca dell’intestatario del veicolo (ogni Stato Ue può consultare direttamente e in automatico le banche dati degli altri Paesi membri) e quindi il recapito del verbale (anche se non è una vera e propria notifica). Il Codice, d’altra parte, è efficace solo nei rari casi in cui il trasgressore viene fermato immediatamente.
Infatti, il conducente del veicolo con targa estera (anche se è italiano e ha patente italiana) deve pagare la sanzione pecuniaria immediatamente, nelle mani dell’agente accertatore; è la più evidente eccezione alla regola secondo cui la sanzione pecuniaria può essere pagata entro 60 giorni dalla contestazione. E, se non si paga immediatamente, occorre versare una cauzione, pena il fermo amministrativo fino all’eventuale versamento (e comunque per non più di 60 giorni). Anche quando il mancato pagamento si deve alla volontà di presentare ricorso.
Nel caso di veicoli immatricolati in uno Stato Ue o aderente all’Accordo sullo spazio economico europeo, la cauzione da versare sarà pari alla somma dovuta a titolo di sanzione (il minimo di legge, per previsione generale del Codice); invece, in caso di veicoli stranieri non rientranti in tale categoria, la cauzione da versare immediatamente sarà parecchio più elevata (circa il doppio).
Tuttavia, a fronte di una previsione così rigida, il nostro sistema sanzionatorio si rivela estremamente debole qualora la violazione non sia contestata immediatamente al conducente. Con la progressiva e inarrestabile estensione dei sistemi di rilevazione automatica (tutor, autovelox, telecamere per semafori, zone a traffico limitato eccetera), la stragrande maggioranza delle violazioni segue la via della notificazione del verbale entro 90 giorni dalla commissione del fatto. In queste situazioni la possibilità che il verbale venga pagato è, di fatto, affidata alla buona volontà del proprietario del veicolo: manca un sistema che consenta di individuare in automatico il mezzo se circolasse ancora sul territorio nazionale. E, se anche lo si individuasse, gli attuali meccanismi di pignoramento sono generici e non adatti alla situazione specifica.
Una soluzione, almeno parziale, potrebbe essere quella di estendere il fermo amministrativo sui veicoli immatricolati all’estero al caso in cui, dopo una comunicazione privilegiata (anche se non una notifica) della violazione all’intestatario e in assenza di ricorso, la sanzione non fosse pagata.
Il fermo amministrativo dovrebbe essere comunicato al proprietario del mezzo ed essere registrato su una banca dati dedicata, consultabile da tutte le forze di polizia; in caso di circolazione ulteriore del veicolo si potrebbe, oltre ad irrogare la sanzione pecuniaria, procedere al relativo sequestro, fino all’avvenuto pagamento del dovuto. Una tale procedura potrebbe essere considerata un’estensione di quella prevista nell’articolo 207.
Tuttavia, oltre ad apportare una corposa modifica legislativa, bisognerebbe superare l’attuale interpretazione sulla sfera di applicazione del sequestro in caso di circolazione con veicolo sottoposto a fermo. Infatti, secondo una circolare del ministero dell’Interno (dipartimento per gli Affari interni e territoriali) prot. n. M/6326150-21 del 25 gennaio 2008, nel caso in cui il fermo del veicolo sia stato disposto a fini “fiscali”, non si può applicare la misura più efficace: il sequestro ai fini della confisca.
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