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L’Italia spende poco in formazione. Ma gli stipendi dei manager sono…

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WORLD TALENT RANKING

L’Italia spende poco in formazione. Ma gli stipendi dei manager sono al top

I paesi europei continuano ad aumentare la propria attrattività per aziende e professionisti qualificati, grazie a investimenti in formazione, uso dell'apprendistato e padronanza delle lingue straniere. Con qualche eccezione: ad esempio l'Italia, dove si spende meno in istruzione ma si mantengono le retribuzioni dei manager al top su scala mondiale. Nell'ultimo World talent ranking, un report sulla capacità di attrarre e reclutare talenti realizzato dalla business school svizzera Imd, l'Italia compare al 36esimo posto (su 63) in una graduatoria tutta sbilanciata a favore del Vecchio Continente: sul podio Svizzera, Danimarca e Belgio, seguite da Austria, Finlandia, Paesi Bassi, Norvegia, Germania, Svezia e Lussemburgo. A spingere in alto la performance è un sistema educativo «che svetta a sé» rispetto a quelli americani e asiatici, in primo luogo per l'efficacia della spesa sulla formazione (sia nelle scuole che all’interno dell’azienda) e l'internazionalità del mercato. Due pilastri che sembrano essere più fragili nel caso della Penisola, in discesa di quattro posizioni rispetto alla classifica dell’anno scorso.

I tre piatti forti: investimenti in formazione, appeal e “prontezza”
L’indagine dell’Imd, svolta annualmente, tenta di misurare la capacità dei vari paesi di «sviluppare, trattenere e attrarre forza lavoro qualificata» con l’incrocio di interviste a top manager da 63 paesi e le informazioni raccolte dal database della business school. La metodologia si basa su un totale di 30 criteri divisi in tre macroindicatori: investimenti e sviluppo (otto criteri, come la spesa totale in educazione e l’uso dell’apprendistato), appeal (10 criteri, dal livello di tassazione alla remunerazione dei manager) e «prontezza» (intesa come la predisposizione ad accogliere risorse internazionale e rappresentata da 12 criteri, come la qualità del sistema educativo e la presenza di forza lavoro qualificata). Al di là della primatista Svizzera, che rappresenta un caso a sé per il livello degli stipendi e l’efficienza delle infrastrutture, il blocco dei paesi europei in cima alla classifica si distingue per un circolo virtuoso tra una grossa spesa in istruzione, diffusione dell’apprendistato e ritenzione di professionisti. Ad esempio la Danimarca, seconda nella classifica generale,è prima in assoluto per investimenti e sviluppo, 10ma per appeal e quarta nella «prontezza» del suo tessuto imprenditoriale. Copenaghen investe l’equivalente del 7% del Pil in formazione, considera la formazione dei dipendenti «un’alta priorità» e ottiene una valutazione di circa 7/10 quando si parla di programmi di apprendistato. La Germania è, rispettivamente, 10 in investimento e sviluppo, ottava per appeal e 15esima in readiness. Il suo punto forte è l’apprendistato, valutato con un punteggio di 8,5 su 10 grazie al sistema duale inaugurato nell’ormai lontano 1969.

I talloni d’Achille italiani: formazione, lingue e internazionalità
Il circolo virtuoso elogiato dall’Imd ricompare nel caso dell’Italia. Ma alla rovescia. La Penisola è 33esima per investimenti e sviluppo, 41esima per appeal e 34esima per prontezza. Tra i macroindicatori che abbassano il risultato ci sono la spesa in formazione (il 4% del Pil, il 41esimo risultato in assoluto) e un uso insufficiente dell’apprendistato (“voto” di 4,5, il 38esimo posto in graduatoria), accanto a deficit nella padronanza delle lingue straniere che servirebbero alle imprese (51esimo posto, voto medio poco sopra al 4), nella formazione dei dipendenti (il punteggio è di 4,8 su 10, il 52esimo risultato) e nell’appeal esercitato su professionisti dal mercato internazionale (53esima posizione). Il tutto sfocia nel 57esimo posto per la capacità di attirare su sé risorse ad alto tasso di qualifiche, con strascichi sulle prospettive di crescita della produzione. I punti di forza, o almeno i fattori che ci tengono in pari con la concorrenza europea? L’unico criterio a guadagnarsi le prime 1o posizioni nella graduatoria dell’Imd è la remunerazione dei manager, intesa come il pacchetto di stipendi, bonus e incentivi di lungo termine: qui l’Italia è nona, facendo meglio dei paesi in cima alla classifica generale come Svezia (15esima) o Danimarca (16esima) . L’altra boccata d’ossigeno arriva dalla disponibilità di skilled workers, lavoratori qualificati, classificata in 14esima posizione su 63. Sempre che, appunto, decidano di lavorare ancora sul mercato domestico.

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