Lamezia Terme, Cassano allo Jonio, Isola Capo Rizzuto, Marina di
Gioiosa Jonica e Petronà. Sono i cinque comuni calabresi che il Consiglio dei ministri ha appena sciolto per infiltrazioni mafiose. Un piccolo drappello che si aggiunge ai quasi 800 comuni che in questi ultimi cinque anni sono stati commissariati prima delle nuove elezioni. In pratica un’amministrazione su 10. E a pesare sull’instabilità non è solo l’ombra della criminalità organizzata. L’ultimo caso risale a qualche giorno fa. Malito, in provincia di Cosenza, ha concluso in anticipo la sua consiliatura dopo le dimissioni del sindaco Carmine Carpino a seguito di contrasti all’interno della maggioranza. Uno dei tanti casi dove invece la fine della consiliatura è stata segnata da una crisi politica.
La piaga delle infiltrazioni mafiose
In 40 casi l’intervento del Governo è stato necessario per bloccare le infiltrazioni della criminalità organizzata. Destino che ha condiviso più recentemente anche Ostia, il X municipio di Roma, che con le elezioni di domenica scorsa è tornata alla normalità dopo due anni di commissariamento. E il trend è in aumento: quest’anno sono stati già 14 i comuni sciolti per mafia contro i 4 dell’anno scorso. Tra i più recenti, oltre ai 5 calabresi, c’è Valenzano in provincia di Bari dove il «buon andamento e l’imparzialità dell’attività comunale» ormai compromessi hanno portato il Viminale a richiedere la gestione commissariale con decreto del Presidente della Repubblica (il 20 ottobre scorso).
Quando il dissesto blocca l’attività
Oltre alla criminalità, ad aumentare negli ultimi anni anche i casi di scioglimento anticipato per mancata approvazione del bilancio o per dissesto. Un riflesso della stretta sui conti dei comuni che ha contrassegnato le politiche di finanza pubblica: 42 le amministrazioni commissariate di cui 13 solo quest’anno. A luglio, per esempio, Cannara, in provincia di Perugia, nonostante i richiami del prefetto non è riuscita ad approvare il bilancio di previsione 2017. A fare le spese del dissesto finanziario quest’anno è stato invece per ora il consiglio comunale di Botricello (Catanzaro).
Quando la maggioranza scoppia
La principale causa di fine consiliatura anticipata (520 su 788) restano comunque le dimissioni del sindaco o della maggioranza dei consiglieri, sia per motivi politici sia perché il primo cittadino si candida ad altre cariche in Regione o in Parlamento. Il caso più clamoroso è stato nel 2015 quello della giunta capitolina guidata da Ignazio Marino, finita in maniera traumatica con le dimissioni in blocco di 26 consiglieri su 48.
Non solo Berlusconi, gli effetti della legge Severino
A partire dal 2013 sulla sopravvivenza in carica dei sindaci pende però un’altra incognita: la legge Severino, che è costata l’espulsione dal Senato a Silvio Berlusconi, stabilisce l’incandibilità a primo cittadino dei condannati definitivamente per reati gravi e contro la pubblica amministrazione. Una “tagliola” che in questi anni ha coinvolto cinque amministrazioni.
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