Ottantacinque leggi approvate dal 12 dicembre 2016 (data del giuramento al Quirinale), vale a dire quasi una ogni quattro giorni (per la precisione 4,2: in pratica lo stesso ritmo dell’esecutivo Renzi, a quota 4,1). Di queste, 24 sono di iniziativa governativa (la metà conversione di decreti legge). È questo il bilancio dell'attività legislativa nell'anno di gestione del Governo Gentiloni. E se tra i provvedimenti di iniziativa parlamentare più importanti arrivati al traguardo c'è la legge elettorale (uno dei 15 provvedimenti in totale passati con la fiducia) e l'introduzione nell'ordinamento italiano del reato di tortura, i provvedimenti più pesanti sono quelli di iniziativa governativa. A partire dalla manovrina della scorsa primavera e dal decreto legge fiscale (da poco diventato legge) collegato alla manovra 2018, per arrivare fino al decreto Sud e ai tre decreti salva banche e risparmiatori. Sotto il governo Gentiloni ha anche avuto il via libera, dopo un lungo travaglio, il disegno di legge annuale sulla concorrenza (presentato dal Governo Renzi nel 2015). Vanno poi ricordati la cancellazione dei voucher e il codice del terzo settore. Mentre sul fronte giustizia è stata approvata la riforma del processo penale, con la delega al riordino della disciplina delle intercettazioni la cui attuazione ha avuto l'ok in prima lettura dal consiglio dei ministri ed è all'esame del parlamento. (Antonello Cherchi, Andrea Marini e Marta Paris)
DAI CONTI PUBBLICI ALLA SCUOLA, IL BILANCIO DI UN ANNO
Debito inchiodato su livelli molto consistenti
Deficit sostanzialmente sotto controllo, indicato quest'anno all'1,6% del Pil (rispetto al 2,5% di un anno fa). Debito che resta inchiodato su livelli molto consistenti. Nel 2016, in rapporto al Pil, si era al 132%, mentre quest'anno il target previsto è del 131,6%. Percorso lento di riduzione che si può attribuire ad una crescita del Pil ancora insufficiente a invertire la rotta, e alla bassa inflazione oltre allo scarso apporto delle privatizzazioni. La politica monetaria espansiva della Bce ha consentito di ridurre la spesa per interessi, indicata al 3,8% del Pil contro il 4% di un anno fa, mentre l'avanzo primario (il saldo al netto degli interessi) è in leggero aumento all'1,7% rispetto all'1,5% del 2016. (Dino Pesole)
Salvataggio banche: sminato uno dei rischi più gravi sulla tenuta del paese
Il debutto del governo Gentiloni non è stato leggero. Il primo atto, obbligato, è stato il decreto «salva-risparmio», che ha stanziato i 20 miliardi di debito pubblico aggiuntivo per i salvataggi di Monte dei Paschi, Veneto Banca e Popolare di Vicenza e per gli indennizzi ai risparmiatori. Il tema banche, a partire dal decreto che ha dovuto affrontare di petto le questioni lasciate macerare nei mesi pre-referendum, ha segnato in realtà quasi tutta l'azione di governo, con la ricapitalizzazione precauzionale di Rocca Salimbeni prima e l'intervento sulle venete poi. Proprio questa, dunque, resta la voce chiave per il bilancio dell'esecutivo Gentiloni: che può vantare fra i propri risultati quello di aver sminato uno dei rischi più gravi sulla tenuta economica e sociale del Paese. (Gianni Trovati)
Verso l’allargamento dell’Ape sociale
Sul dossier pensioni il governo ha chiuso un complicato accordo con una parte del sindacato (Cisl e Uil) per escludere circa 14mila lavoratori dallo scatto dei requisiti di pensionamento del 2019. Si tratta dei cosiddetti lavoratori impegnati in attività gravose (11 categorie già catalogate per l'Ape sociale cui se ne aggiungono altre quattro) ma tra due anni saranno oltre 50mila i lavoratori che usciranno ben prima dei 67 anni grazie all'attuazione delle misure varate nel 2016: il cumulo gratuito, i precoci, chi beneficerà dell'Ape sociale, gli usuranti. Attuazione cui l'Esecutivo Gentiloni ha lavorato tutto l'anno. Grazie ai risparmi derivanti dalle minori concessioni di Ape sociale, inoltre, l'anno venturo l'Ape sociale sarà allargato ad altre platee. La spesa sale dai dai 250 milioni circa, cumulati tra il 2018 e il 2020 previsti nel ddl manovra a circa 500 milioni, l'addendum arriva con l'emendamento finale di palazzo Chigi che attiva anche il Fondo per l'Ape sociale 2019, forse già un annuncio che questo ammortizzatore finale prima del pensionamento dei 63enni in difficoltà verrà reso strutturale. Sulle pensioni gli impegni finali dell'ultimo governo della legislatura si sono concretizzati anche nella duplice consegna a due commissioni tecniche, da istituire nei primissimi mesi dell'anno (dovranno poi chiudere i lavori a settembre 2018), per ridefinire il meccanismo di adeguamento automatico dei requisiti di pensionamento alla speranza di vita dei 65enni, anche tenendo conto dei diversi tipi di lavori svolti, e per dare una nuova lettura (separata) dei livelli di spesa assistenziale e previdenziale. (Davide Colombo)
L’autogol dei voucher
Il provvedimento più importante sul lavoro del governo Gentiloni è un decreto legge che, lo scorso marzo, per evitare un referendum promosso dalla Cgil, ha abrogato tout court la normativa sui voucher e generalizzato la responsabilità solidale nell'intera filiera degli appalti. Risultato? Dai servizi al turismo, dalla ristorazione all'agricoltura c'è un aumento del nero; c'è una crescita del lavoro a chiamata (gli strumenti sostituitivi per il dopo voucher, a causa di costi e burocrazia, non stanno decollando, tutt'altro); e ora ci sono più rischi nei cambi appalti. Altre tre novità arriveranno nella legge di Bilancio 2018, attualmente all'esame del Parlamento. Per spingere Industria 4.0 viene introdotto un credito d'imposta per le spese in formazione. Per favorire l'occupazione giovanile, da gennaio scatterà una nuova forma di sgravio per le assunzioni stabili degli under 35, il prossimo anno, e poi under 29, a regime. Per collegare di più scuola e mondo produttivo è reso stabile l'apprendistato duale. Sulla produttività, invece, e sui premi collegati al risultato, non c'è stato alcun ampliamento (nonostante i vari annunci), ma resta in vigore la normativa di favore reintrodotta nel 2015 dal governo Renzi. Per ora non dovrebbero esserci stravolgimenti del Jobs act. Il condizionale è tuttavia d'obbligo: aleggia in parlamento un intervento sui contratti a termine, per ridurne durata e proroghe. Attenzione, però: i lavoratori “a tempo determinato” rappresentano sul totale degli occupati il 13%; una percentuale in linea con gli anni passati, e soprattutto con gli altri Paesi Ue. Inoltre le durate medie di questi rapporti temporanei sono tre/quattro mensilità, e quindi ridurre il tetto massimo di utilizzo da 36 mesi a 24 mesi sarebbe, su questo aspetto, del tutto ininfluente. (Claudio Tucci)
Ancora sulla carta l’avvio dei competence center
Nell'ultimo anno la politica industriale è stata fortemente caratterizzata dall'implementazione del piano Industria 4.0. Superammortamenti e iperammortamenti fiscali hanno fortemente spinto gli investimenti privati, anche se resta sulla carta l’avvio dei competence center per il trasferimento tecnologico. L'ultima manovra, ancora all’esame del Parlamento, ha aggiunto un altro pezzo: il credito di imposta per la formazione in attività 4.0 (per ora solo annuale). Il commercio internazionale ha toccato massimi storici - 417,1 miliardi di euro di esportazioni e 51,5 miliardi di avanzo commerciale nel 2016 - ma stenta a crescere il numero delle imprese esportatrici abituali. (Carmine Fotina)
Il secondo tempo della Buona Scuola tra attuazione e retromarce
Se non una vera e propria “fabbrica di San Pietro” la politica sull'istruzione seguita fin qui dal governo Gentiloni può essere definita quanto meno del “doppio binario”. Al completamento dell'iter normativo, che si è sostanziato nel via libera del gennaio scorso a otto delle nove deleghe contenute nella legge Renzi-Giannini, è seguito infatti il depotenziamento, se non addirittura, lo smontaggio di alcune delle disposizioni più innovative contenute nella legge 107. SI pensi alla chiamata diretta degli insegnanti che è rimasta ampiamente minoritaria a causa di griglie troppe troppo strette per il suo utilizzo da parte dei presidi. Oppure alla mobilità dei docenti che da strumento eccezionale è diventato uno strumento via via più ordinario. Alimentando anno dopo quella giostra di professori che la stessa riforma dell'istruzione voleva arrestare. Al palo è rimasta anche la valutazione dei dirigenti scolastici che, seppur formalmente partita, in sostanza non avrà alcun impatto sulla loro busta paga. Un viatico tutt'altro che buono in vista della lunga campagna elettorale che ci attende. Con più di una forza politica – dal M5S a Liberi e uguali - che ha già messo nel mirino quel che resta della Buona Scuola (Eugenio Bruno)
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