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Dossier Torna la spending review (sulla carta)

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Dossier | N. 23 articoliCome si vota, candidati e programmi: lo speciale Elezioni

Torna la spending review (sulla carta)

La spending review rischia di trasformarsi in uno dei protagonisti del percorso che ci porterà al voto (Agf)
La spending review rischia di trasformarsi in uno dei protagonisti del percorso che ci porterà al voto (Agf)

È un po’ il convitato di pietra della campagna elettorale. Ma la spending review con il trascorrere delle settimane rischia di trasformarsi in uno dei protagonisti del percorso che ci porterà al voto. Anche perché, in molti casi, nello schema di coperture non ancora del tutto esplicitato dai partiti e dai movimenti politici parte delle risorse per coprire il taglio delle tasse, sotto forma di flat tax o di sgravi per le famiglie, e per i “ritocchi”su pensioni e fasce di povertà, magari attraverso la revisione della legge Fornero, dovrebbe arrivare proprio dalla revisione delle tax expenditures e soprattutto dai tagli alla spesa. Che nel periodo 2014-2018, sotto i Governo Renzi e Gentiloni, hanno prodotto un “effetto spending” per quasi 35 miliardi seppure quasi in toto redistribuiti per alimentare le misure espansive varate dai due esecutivi (da quelle in chiave occupazione al bonus degli 80 euro).

Ma M5S e centrodestra sembrano tentati ad affondare ancora di più sull’acceleratore fissando tra gli obiettivi più o meno nascosti quello di recuperare nell’arco della prossima legislatura, rispettivamente, ben 50 miliardi di sprechi da reinvestire nella riduzione strutturale delle tasse e di ridurre fino a 7 punti percentuali il rapporto spesa/Pil. LeU invece non appare troppo affascinato dai tagli in forma massiccia e neppure con una fisionomia selettiva perché considera la spesa primaria corrente (interessi esclusi), al netto delle pensioni, tra le più basse dell’eurozona e quindi punta essenzialmente su una riqualificazione della spesa stessa.

Sulla spending review il programma del Pd, al di là degli obiettivi che saranno esplicitamente indicati entro domani, dovrebbe continuare a incanalarsi lungo il solco tracciato con i Governi Renzi e Gentiloni (il rapporto tra spesa e Pil risulta sostanzialmente in calo ma non l’andamento delle uscite in termini assoluti) evitando eccessi di tagli di spesa per scongiurare rischi di ricadute di tipo “recessivo”. In ogni caso dalla prosecuzione del processo di revisione della spesa in chiave selettiva ma automatica e obbligatoria (come prevede la riforma del bilancio dello Strato approvata nel corso dell’ultima legislatura) dovrebbe operativamente arrivare un pezzo della copertura per le misure fiscali (da ricavare anche con una prima revisione degli sconti fiscali), sul lavoro e di contrasto della povertà che saranno lanciate da Matteo Renzi. La storia della spending review (e della “collegata” potatura della giungla degli sconti fiscali) nella diciassettesima legislatura si è chiusa con intervento “lordo” sulle spese per circa 4,5 miliardi previsto dalla manovra uscita dal Parlamento per puntellare una fetta delle misure per la crescita inserite dal Governo già nella versione originaria del Ddl di bilancio e per coprire più o meno due terzi dei ritocchi per 1,4 miliardi “lordi” introdotti da Palazzo Madama e Montecitorio. Questi 4,5 miliardi lordi vanno ad aggiungersi ai quasi 30 miliardi di capitoli di spesa eliminati o ridotti tra il 2014 e il 2017, come indicato nell’ultima relazione del commissario Yoram Gutgeld.

L’aggressione della spesa improduttiva è al centro della road map economica del centrodestra, in primis di Forza Italia, con la Lega che sembra frenare per evitare troppi tagli. Al momento il programma condiviso del Centrodestra fa riferimento a un «taglio visibile agli sprechi mediante l’effettiva introduzione del principio dei fabbisogni e dei costi standard» e degli sconti fiscali soprattutto per coprire la flat tax. Ma in Forza Italia sono in molti a essere d’accordo con l’idea, sostenuta nel recente passato da Renato Brunetta, di realizzare nel corso della legislatura una riduzione del rapporto fra spesa pubblica e Pil di oltre i 7 punti percentuali per sostenere l’alleggerimento fiscale e determinare anche una riduzione del rapporto deficit-Pil.

Anche il M5S, come più volte affermato dal candidato premier Luigi Di Maio, sembra puntare forte sulla spending review per recuperare 50 miliardi di sprechi nella legislatura da reinvestire nella riduzione strutturale delle tasse. La base di partenza per i Cinque stelle è il piano Cottarelli in forma rivista e rafforzata. Con tagli a vasto raggio partendo da partecipate, pensioni d’oro, e missioni internazionali di pace. E aprendo la strada a una sensibile scrematura delle tax expenditures, all’eliminazione di 18 miliardi di sussidi alle fonti fossili e all’emersione dell’evasione grazie alla sburocratizzazione del sistema di riscossione.

Per LeU Stefano Fassina ricorda che in Italia la spesa per sanità e scuola e tra le più basse d’Europa: «Quindi, la spesa va riqualificata non tagliata. Quanto si recupera da sprechi va riallocato su programmi carenti».

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