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Dossier Aiuti ai figli, rincorsa senza coperture

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Dossier | N. 23 articoliCome si vota, candidati e programmi: lo speciale Elezioni

Aiuti ai figli, rincorsa senza coperture

Nella battaglia dei programmi in vista delle elezioni entra in campo anche la famiglia. O, meglio, le politiche per aiutarla, nella speranza di schiodare il Paese dalla stasi demografica in cui lo sta portando uno dei tassi di natalità più bassi d’Europa (1,26 figli per donna italiana). Ma come sempre c’è da fare i conti con le esigenze del bilancio pubblico, e il quadro delle coperture all’interno delle varie proposte è tutt’altro che completo.

Proposta dem da 23 miliardi l’anno
Il Partito democratico ha studiato i nuovi assegni collegati ai figli, in un meccanismo che cambia con l’età e produce effetti differenziati a seconda del reddito dei genitori. In pratica, la misura prevederebbe un sostegno da 23 miliardi di euro all’anno (si veda Il Sole 24 Ore di domenica), da coprire in due modi: 14 miliardi arriverebbero dall’abolizione delle attuali detrazioni per figli a carico, degli assegni famigliari e del bonus bebè (con una salvaguardia per le fasce di reddito e patrimonio più basse per evitare che lo scambio finisca per essere negativo per loro). Altri 9 sarebbero però da chiedere alla finanza pubblica, cancellando l’aumento dell’avanzo dal 2 al 2,6% del Pil previsto per il 2019 con un impatto diretto sulla dinamica del deficit.

Un aiuto anche agli «incapienti»
Passando dai conti pubblici a quelli famigliari, il sistema sarebbe articolato in tre tipi di assegno: 250 euro per ogni figlio fino a due anni, 150 euro quando l’età è da 3 a 17 e 108 dalla maggiore età fino a 25 anni. Secondo le prime indicazioni, la cifra chiave sarebbe rappresentata dal reddito da 55mila euro: nelle fasce più basse i benefici si ridurrebbero in valore assoluto insieme al reddito, fino a imporre strumenti di salvaguardia sotto i 15mila euro. Questo sistema, però, darebbe un aiuto anche agli «incapienti», che oggi non hanno detrazioni perché non hanno redditi tali da produrre Irpef. Dall’altro lato della graduatoria, dai 55mila in su l’assegno scenderebbe in un decalage che lo porterebbe a zero a quota 100mila euro.

A guidare le danze sarebbe il genitore con reddito più alto mentre restrebbe neutro, ossia senza alcun effetto sull’ammontare dell’assegno, quello dell’altro coniuge. Quando si traduce il tutto in cifre, si scopre che nel caso più semplice (famiglia di tre componenti, con un reddito e un figlio solo) il beneficio mensile si attesterebbe a 32 euro per chi dichiara 15mila euro l’anno, salirebbe progressivamente fino a 180 euro con un reddito fino a 55mila euro, per poi scendere in base al decalage per i redditi superiori. Ma le variabili si moltiplicano al crescere dei figli o della loro età, per l’incrocio fra i nuovi importi e i vecchi meccanismi (detrazioni e assegni famigliari che tramonterebbero). In base alle prime elaborazioni possibili sulla base degli elementi noti, in alcuni casi ci sarebbe bisogno di una clausola di salvaguardia, per evitare un impatto negativo sui redditi più bassi in famiglie con i figli più grandi (quando il nuovo assegno scenderebbe a 150 e a 108 euro).

Stima difficile per le ipotesi di costo
Decisamente più complicato è per ora abbozzare ipotesi di costo delle proposte degli altri partiti. A sinistra del Pd, Liberi e Uguali parla di ipotesi di ricalibratura della curva Irpef con un intervento mirato sui carichi famigliari.
Sotto le altre sigle domina invece il quoziente famigliare, cioè il meccanismo “alla francese” che determina l’imponibile della famiglia sulla base di coefficienti assegnati a ogni componente per premiare i nuclei più numerosi. Il tema fa capolino sia nei 20 punti del Movimento Cinque Stelle, insieme a rimborsi per gli asili nido e bonus fiscali per pannolini e prodotti per l’infanzia. Le stesse parole chiave tornano nelle proposte di Forza Italia, che già nel 2013 aveva rilanciato l’idea del quoziente famigliare: all’epoca i costi del solo «avvio» erano stimati in 4 miliardi di euro. Per azzerare i costi degli asili nido, idea che rientra anche nel menu di Civica Popolare (la lista guidata da Beatrice Lorenzin e alleata del Pd) servono invece 300 milioni all’anno: a patto di non voler aumentare il (basso) numero di posti disponibili oggi.

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