Fisco e pensioni, seppure con strategie molto diverse, sono al momento i temi economici dominanti di questa campagna elettorale, mentre le ricette a confronto sembrano più astratte, meno dettagliate e in linea di massima poco incisive per quanto riguarda l’industria, la produttività e l’occupazione giovanile. La coalizione di centro-destra ha già diffuso il programma, il Pd e Liberi e Uguali lo depositeranno in queste ore, M5S lo ha già depositato ma per ora lo ha reso noto in «pillole». Le anticipazioni raccolte però danno già un quadro chiaro.
Ad esempio, il cuore delle proposte di Fi-Lega-FdI è la creazione della cosiddetta flat tax. Il Pd punterà forte sulla riduzione Irpef per le famiglie e, con un’intensità di risorse inferiore, sul taglio del cuneo fiscale. Nella piattaforma di M5S spicca l’idea del reddito di cittadinanza.
E l’economia reale? Argomenti messi in evidenza dall’intervento Calenda-Bentivogli pubblicato su questo giornale - come formazione e competenze in chiave Industria 4.0, scambio virtuoso salario-produttività, credito e garanzie alle Pmi, riduzione del costo dell’energia, aumento delle imprese esportatrici, la diffusione universale della banda larga - sono lasciati sottotraccia o assenti.
Per non parlare della concorrenza. Sul tema industria c’è l’idea Pd degli incentivi 4.0 per tutta la legislatura ma a calare, la proposta del centro-destra di semplificare il crowdfunding per le startup, il piano da decrittare di M5S sugli investimenti produttivi strategici (100 miliardi nella prima versione, ridotti a 50 nell’ultimo testo). Quello che sembra però mancare è l’attenzione in senso più ampio alla «fabbrica», alle condizioni di competitività della manifattura e delle piccole imprese.
Il tema della produttività è indicativo: in Italia continua a ristagnare (e non da oggi), nonostante un’iniziale ripartenza del mercato del lavoro. Gli ultimissimi dati Eurostat e Istat evidenziano, nel 2016, un calo di circa un punto percentuale rispetto all’anno prima, in controtendenza con i nostri competitor europei. In Germania la produttività per ora lavorata è cresciuta di 1,3 punti; in Francia di 1 punto, in Spagna di 0,7. Un peccato visto che la detassazione dei primi di risultato, reintrodotta dal governo Renzi, sta dando risultati incoraggianti, ed è in crescita, anche tra le pmi, il “welfare” aziendale.
Discorso, più o meno simile, per i giovani: il tasso di disoccupazione degli under 25 è iniziato a scendere, ma rimane al 32,7% (peggio di noi, solo Spagna e Grecia). A novembre, si è visto qualche segnale positivo, con una crescita di 110mila occupati nella fascia d’età fino a 34 anni.
Ebbene, alla luce di questi numeri ci si sarebbe aspettata un’attenzione maggiore alla “questione giovanile” da parte delle forze politiche. Fi e M5S, per ora, sono generici; anche il Pd non rilancia, ricordando, comunque, l’incentivo in vigore da gennaio per assumere stabilmente under 35 (under 30, dal 2019) introdotto con la legge di Bilancio 2018.
Se su giovani e produttività, le idee si spera verranno dettagliate in questi giorni, per pensioni e fisco il quadro sembra più delineato anche se con partiti divisi e coperture ancora incerte. Il principale oggetto della contesa è la riforma Fornero. Che il Pd punta sostanzialmente a salvaguardare proseguendo, sul versante della flessibilità, sulla strada aperta con l’Ape.
Sempre il Pd propone la pensione di garanzia per i giovani. Centro-destra e M5S fissano invece come priorità lo stop alla legge Fornero, ricorrendo a una nuova riforma previdenziale (nel caso di Berlusconi) o introducendo la possibilità di uscita per tutti con 41 anni di contributi (pentastellati). Ricette diverse anche sull’aumento, o l’adeguamento, delle pensioni minime.
Veniamo al fisco. Il Pd vuole riscrivere gli sgravi per carichi familiari introducendo assegni per ogni figlio. In questo modo autonomi, incapienti e anche fasce di reddito oggi escluse beneficeranno dello sconto. Il costo è stimato in 23 miliardi di cui 14 recuperati con l’abolizione dei bonus bebè e i restanti 9 mantenendo l’avanzo al 2% anziché farlo crescere progressivamente. Per le imprese un taglio Ires e Iri al 22%.
La riscrittura della curva delle detrazioni per carichi fiscali sarà al centro del programma di Liberi e Uguali. Operazione sostenuta con i recuperi della lotta all’evasione fondata sull’invio telematico dei dati di fatture e scontrini. La riduzione dell’Irpef è anche tra i 20 punti annunciati dai 5 Stelle che, in sintesi, puntano alla riduzione delle aliquote Irpef e a un’estensione della no tax area. Per le imprese oltre al taglio di Irap e tasse sul lavoro si punta all’abolizione di studi di settore e spesometro.
Il centro-destra ha annunciato la flat tax per famiglie e imprese con un’aliquota iniziale ipotizzata al 23% destinata progressivamente a ridursi. La no tax area è destinata a crescere fino a 12mila euro e per molte tasse, come bollo, Irap e Imu, potrebbe scattare l’esenzione in caso di assenza di redditi. Pace fiscale per tutti i piccoli contribuenti in difficoltà economica, un nuovo concordato di massa e l’abolizione dell’inversione dell’onere della prova fiscale.
Alla prova dei fatti, va da sé, la sostenibilità di tutte le proposte andrà misurata con la gestione delle finanze pubbliche, altro tema sul quale non mancano le differenze. Sul rapporto debito-Pil il Pd conta di scendere a quota 100% in 10 anni senza eccessivo ricorso al deficit.
L’abbandono della strada dell’austerità è invece il percorso scelto dal M5S (sfondare il tetto del 3%) per abbattere il debito del 40% in 10 anni.
Il centrodestra non fa riferimenti espliciti a questo tema ma Forza Italia ipotizza di scendere a quota 100% facendo leva su un avanzo primario al 4% e su un piano straordinario di privatizzazioni.
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