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Psicologia del voto: perché crediamo (o non crediamo) ai…

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Psicologia del voto: perché crediamo (o non crediamo) ai politici

(Reuters)
(Reuters)

I fatti contano in politica. Punto uno. Una buona argomentazione dovrebbe essere in grado di farti cambiare punto di vista. Punto due. Le elezioni dovrebbero riguardare questioni concrete. Punto tre. Alzi la mano chi è d'accordo. «Immagino che la tua mano si sia alzata. Ora che hai preso il massimo voto in educazione civica parliamo però del mondo reale».
Rick Shenkman è un analista, commentatore ed editor dell'History News Network presso la George Washington University e il suo recente Political animals («come il nostro cervello dell'età della pietra si fa strada nell'era della smart politics») squarcia una serie di credenze diffuse. Altro che aperti e disposti a cambiare opinione, i nostri cervelli sono “naturalmente” partisan. Di parte. Il team messo su apposta dal Washington Post per tenere il conto delle «affermazioni false o fuorvianti» di Donald Trump indica al numeratore 2.140 in un anno solare. Fa quasi sei al giorno. Eppure la popolarità del presidente americano non cola a picco nei sondaggi. Sembrerebbe insensato.

La razionalità non è il nostro forte
Ma come spiega Edoardo Boncinelli «la razionalità non è il nostro forte. Ciò può essere imputato a ignoranza, a stupidità, a indifferenza o a malafede. Si tratta di interpretazioni ovviamente, e non è affatto detto che una di questa colga il segno. Il riassunto è che la gente crede quello che vuole credere e quello che non ama non lo sente nemmeno. Trump è un mentitore troppo sfacciato, per pensare a mettersi in guardia: chi le spara più grosse imbambola il suo ascoltatore».

I libri di Boncinelli riempiono scaffali interi, uomo di scienza tra i più conosciuti d'Italia e, oltre a questo, saggista con il gusto del parlar chiaro e tondo. Lo studio pioneristico dei meccanismi di sviluppo dell'embrione ha condotto la sua ricerca, da genetista, a incrociare le neuroscienze e lo studio delle funzioni mentali superiori. Al di qua dell'Oceano, anche da noi l'avvio di campagna elettorale ha dato ottima prova della corsa all'idea più roboante, frizzi e lazzi. Dal taglio delle tasse sventolato per prassi in ogni discorso alla lotta agli sprechi, la lista è infinita a dispetto della (per lo più discutibile) realizzabilità delle proposte. Come mai la gente resta impermeabile alle bugie dei politici? «C'è una regola generale, analizzata anche formalmente: una convinzione molto radicata impedisce a molte altre di essere prese in considerazione e rende la gente sorda a tutto ciò che potrebbe confliggere con questa convinzione», dice Boncinelli. Alcuni studi molto seri evidenziano inequivocabilmente che l'attività cosiddetta di “debunking”, e cioè di smontaggio delle bufale in giro a pacchi nel web, anche quando realizzata da gruppi specializzati spinge a reagire in senso contrario a quello sperato, spesso e volentieri pure su serissime questioni scientifiche. Qui Boncinelli fa finta di calarsi nel modo più comune di reagire. «Dicano quello che vogliono, ma io sono più smart! E poi perché lo dicono? Che cosa c'è sotto?». Abbiamo in sostanza la tendenza a confermare ciò in cui crediamo. Se siamo convinti di una cosa cerchiamo di rafforzare questa opinione con altre “prove”.

Abbagli, pregiudizi ed emozioni
Per George Lakoff, nume della linguistica cognitiva all'Università della California a Berkeley, studioso di campagne elettorali, i cittadini dovrebbero votare calcolando quali politiche e quali programmi corrispondono ai loro interessi. Invece lasciano che «abbagli, pregiudizi ed emozioni» guidino le loro scelte, ragionano senza alcuna logica di valori, priorità, obiettivi. Oppure giungono tranquillamente a conclusioni indipendenti dai loro interessi senza sapere consciamente perché. Sarebbe bene, dunque, abbandonare l'idea di un uomo razionale? «Non siamo razionali o, almeno, non siamo sempre razionali. Le neuroscienze, come ha provato il premio Nobel Daniel Kahneman, dicono che nella testa abbiamo due sistemi per valutare e prendere decisioni. Un Sistema 1 irrazionale, superficiale, approssimativo, passionale, inaffidabile, ma veloce e poco impegnativo. E un Sistema 2 razionale, affidabile e analitico, ma lento e faticoso da gestire. Quando possiamo, usiamo il Sistema 1. Usiamo il Sistema 2 solo se non ne possiamo fare a meno, per ragioni interne e esterne».

Personalità e somiglianze
Il nome di Gian Vittorio Caprara in Italia, e nel mondo, si lega allo studio della psicologia della personalità, applicata tra i vari ambiti alla politica, di cui è uno dei più grandi esperti. Personalizing politics and realizing democracy per Oxford University Press è uscito da qualche mese e compendia anni e anni di ricerca sul tema. Tramontate le grandi ideologie, rimane da capire quale bussola le persone normalmente utilizzano al momento di votare per uno o l'altro. «Destra e sinistra trovano una risonanza nei tratti e valori che distinguono gli elettori e rendono conto della somiglianza tra politici ed elettori. Di fatto politici ed elettori di destra e di sinistra si assomigliano tra loro più di quanto non si assomiglino politici ed elettori di parti avverse. Destra e sinistra in un certo modo rappresentano delle scorciatoie che riassumono l'influenza di valori e atteggiamenti». Categorie da cui, negli ultimi anni, è andato piuttosto di moda scappare. «Credo che la maggior parte delle persone, almeno nel nostro contesto politico, continui a fare riferimento a destra e sinistra. Anche quelli che dichiarano che destra e sinistra non hanno più senso, se indotti a farlo, tendono comunque a posizionarsi tra destra e sinistra».

Dopo oltre duecento anni non smetterebbero di rappresentare uno strumento col quale districarsi tra temi che a stento si comprendono, secondo Caprara. «Potremmo dire di essere in vario grado predisposti verso la sinistra e la destra, ciò tuttavia vale soltanto dove destra e sinistra, nel corso del tempo, hanno trovato un ancoraggio (o una risonanza) nelle personalità degli elettori. Possono perciò valere anche in paesi lontani che condividono un percorso (e un lessico politico) alla democrazia simile (ad esempio il Cile e l'Australia), mentre possono rivelarsi prive di alcun valore in democrazie recenti dell'Asia o dell'Africa, cui sono in larga parte estranee le vicende politiche delle democrazie occidentali». Ma se è così difficile maturare consapevolmente un giudizio appropriato sulla base dei fatti, guardando al proprio tornaconto o nell'interesse generale, di quale strategia di (auto)difesa può dotarsi un cittadino alle prese con la scelta? Boncinelli tronca di netto la domanda con una (non) domanda. «Se non l'ha trovata in venticinque secoli, perché la dovrebbe trovare adesso?».

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