Via il contingente italiano dall’Afghanistan, una conferenza di pace sulla Libia a Roma, stop alle forniture di armamenti destinate allo Yemen, più chiarezza sulla missione in Niger, di cui andrebbero riviste «regole e termini di ingaggio». Ma nessun dubbio sulla «necessaria» permanenza dell’Italia nella Nato, men che mai in Europa, citata addirittura come «la casa naturale dell’Italia e del M5S». E l’annuncio: «Nella mia squadra alla Farnesina ci sarà un politico». Alla platea di studenti e diplomatici accorsi nella sede della Link Campus University, l’ateneo presieduto dall’ex ministro Dc Vincenzo Scotti nelle cui file ci sono tre candidati M5S nei collegi uninominali, stamane il candidato premier Luigi Di Maio ha snocciolato un “bignami” della politica estera pentastellata, assai rivisitata rispetto alle origini, in omaggio alla nuova linea “governista” e rassicurante del Movimento.
Le tre linee guida M5S sulla politica internazionale
Introdotto dal giornalista Piero Schiavazzi, che alla Link Campus insegna geopolitica vaticana, Di Maio ha innanzitutto enunciato le «tre linee guida» del M5S sulla politica estera: il rispetto del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite; il valore del multilateralismo, a partire dal principio di non ingerenza; la cooperazione internazionale allo sviluppo, che secondo il leader del Movimento svolge un ruolo cruciale anche per i rimpatri e i respingimenti degli immigrati clandestini.
In Siria e Yemen «guerre per procura»
Quelle in Siria e Yemen sono, nelle parole di Di Maio, «guerre per procura»: nel primo caso Russia e Iran contro Usa e sauditi, nel secondo Iran contro sauditi, nel solco dell’atavica rivalità tra sciiti e sunniti. In Siria il Movimento vede l’Italia come «attore credibile e autorevole per promuovere un tavolo di pacificazione», nello Yemen condanna le forniture di armamenti che arrivano dal nostro Paese, «vietate dalla legge».
Libia: una conferenza di pace a Roma
Sulla Libia, Di Maio ha criticato gli errori dei «competitor»: aver contribuito al bombardamento del 2011 e poi aver «cominciato ad assecondare uno dei governi non riconosciuto dagli altri». Un’operazione giudicata miope. La ricetta M5S? Promuovere a Roma una conferenza di pace, anche in virtù dell’«interesse geostrategico rilevante» che deriva dalla presenza di Eni dal 1959, perché si arrivi a un vero governo di unità nazionale. Un obiettivo importante anche per gestire i flussi migratori, non può non riconoscere Di Maio. Che ne ha approfittato per una stoccata a quei Paesi Ue «che ricevono fondi dall’Unione» e che rifiutano i ricollocamenti».
La Nato? «L’Italia deve restare ma serve nuovo indirizzo»
Sono lontani i tempi in cui in casa grillina si chiedeva l’uscita dell’Italia dalla Nato. «Sono fermamente convinto della necessità della presenza italiana nell’Alleanza Atlantica», ha detto Di Maio. «Ma ci sono missioni su cui è meglio essere chiari ed evitare ambiguità». Come quella in Niger, che per il leader M5S «è sempre più di supporto ai francesi e sempre meno volta a gestire i flussi migratori» ed «è stata approvata da un governo molto debole». Sulla Nato, la perplessità riguarda anche la richiesta statunitense di aumentare il finanziamento fino al 2% del Pil, «perché non si tiene conto di quanto abbiamo già impegnato in questi anni». Una certezza c’è: via il contingente italiano dall’Afghanistan.
No alle sanzioni alla Russia, «relazione strategica»
L’alleanza con gli Usa non è messa in discussione. «Ma rivendichiamo all’Italia il merito di aver avuto sempre ottime relazioni con la Russia, l’Est e il Mediterraneo», ha affermato Di Maio. «Relazioni risultate molto utili ai nostri alleati occidentali e cruciali per la lotta al terrorismo». Il candidato premier grillino, da sempre favorevole all’abrogazione delle sanzioni, ha respinto l’accusa di essere filo-russo, alludendo a Silvio Berlusconi: «Attaccano noi, ma qui c’era un presidente del Consiglio che era in rapporti molto molto amichevoli con Putin, e anche in relazioni di business economico».
Europa «casa naturale dell’Italia e del M5S»
Nella narrazione pentastellata è scomparso ogni riferimento ostile alla moneta unica e all’Europa, «casa naturale dell’Italia e del Movimento». I toni ipercritici sono rimasti appannaggio di Grillo, tornato al suo blog in solitaria, che però sabato dovrebbe ricomparire in pubblico a Torre del Greco accanto al candidato premier. Per Di Maio, dopo Brexit, l’Unione è soltanto «chiamata a fare una riflessione importante sul suo futuro e sulla sua visione, altrimenti rischia di implodere». Fondamentale per competere con i Paesi emergenti, «deve tutelare le peculiarità». Le barriere doganali vanno dunque «rafforzate, perché a volte sono un colabrodo». E va rivista la governance, potenziando le competenze dell’Europarlamento, unico organo direttamente eletto dai cittadini. In quali settori? «Ad esempio in tema di misure contro la povertà e di armonizzazione dei sistemi fiscali».
Alla Farnesina un profilo «politico»
Per sapere chi occuperà la casella Farnesina nella squadra di governo di Di Maio bisognerà aspettare fine mese. Ma il candidato premier ha fornito l’identikit: «Il ministero degli Esteri è il più politico del governo: serve una figura politica, che conosca il mondo diplomatico e che sia capace di moderare le parole, che spesso sono un’arma, ma che deve rappresentare allo stesso tempo il programma M5s e dare continuità sui dossier italiani».
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