A Luigi Di Maio il compito di rassicurare l’establishment, un tempo odiato, sulla natura «responsabile» del M5S, che «non lascerà il Paese nel caos» se gli esiti del voto del 4 marzo saranno incerti. Ad Alessandro Di Battista, osannato dagli attivisti per la sua scelta di non ricandidarsi - «Non sarò nella lista dei ministri che il M5S presenterà prima del voto», ha annunciato ieri sera in Tv - il ruolo che fu di Grillo e che gli è più congeniale: tenere vive le piazze e i vecchi cavalli di battaglia del Movimento, ormai oscurati dalla nuova veste moderata incarnata dal leader. E così mentre Di Maio torna al Sud, in Sicilia e in Sardegna, dopo le tappe a Londra e a Milano (ieri la visita in Assolombarda, l’incontro con i vertici di Amazon insieme a Casaleggio iunior e la cena promossa dall’Associazione Gianroberto Casaleggio, fitta di parlamentari e candidati), Di Battista è partito in camper per un tour di un mese a coccolare la “pancia” dell’elettorato tradizionale.
«Un patto sulla legge di bilancio»
«Ogni parola che pronuncia Di Maio in questa campagna - spiega una fonte M5S - è indirizzata prima di tutto al presidente Mattarella». Lo sforzo di accreditarsi come forza moderata è stato una costante. Così come l’insistenza su quel che succederà la sera del 4 marzo, se non emergerà una maggioranza: l’appello agli altri partiti perché convergano sui punti del programma, ieri rinforzato dall’evocazione di un ritorno alle urne in caso di mancato accordo. Appello ambiguo di per sé (il misunderstanding con gli investitori della City non è casuale), soprattutto se letto con altre due aperture: quella ad allargare la piattaforma programmatica e quella, arrivata ieri in Assolombarda, a stringere «patti» sulla legge di stabilità. «Nella prossima legislatura - ha detto Di Maio davanti agli industriali - bisogna fare un patto con tutte le forze politiche per fare una legge di bilancio che abbia un piano condiviso di lungo termine su investimenti e fiscalità e per evitare sovrapposizioni». Una rivoluzione copernicana per un Movimento che ha sempre rifiutato di sedere attorno a qualsiasi tavolo con gli altri partiti.
La strategia per l’ultimo miglio
Per non rischiare di perdere voti proprio all’interno del nucleo originario degli attivisti del Movimento, iperfidelizzato ma anche spiazzato dalla linea “governista” degli ultimi mesi, Davide Casaleggio e lo staff della comunicazione hanno studiato lo sdoppiamento dei due volti più noti. Al Di Maio quasi compassato che ha finora dedicato gran parte del suo rally elettorale a raccontare alle imprese il programma economico del M5S, all’insegna delle promesse sul fisco e sugli investimenti, si contrappone il Di Battista sempre uguale a se stesso, lasciato libero di arringare le folle dicendo quello che Di Maio non può più dire: gli attacchi alle banche, al «capitalismo finanziario», ai conflitti di interesse e allo stesso Matteo Renzi (che invece non è mai citato nei discorsi dimaiani). Tra le tappe del suo viaggio in camper, partito ieri da Viterbo, ci sono Rignano, Arcore, Laterina.
A fine febbraio la squadra di governo
Di Maio al Sud, dove secondo i sondaggi è sfida M5S-centrodestra, potrà nel frattempo rispolverare la promessa del reddito di cittadinanza. Ma senza abbandonare lo sguardo al Nord: a giorni saranno diffuse le cifre sugli effetti sul Pil delle misure economiche pentastellate. E a ridosso del voto sarà presentata la squadra di governo. L’altro asso, dopo i candidati “vip” e della società civile schierati nei collegi, che Di Maio vuole calare per convincere i diffidenti.
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