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Da Tavolazzi a Borrelli: sei anni di addii ed espulsioni in casa Cinque…

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I fuoriusciti M5S

Da Tavolazzi a Borrelli: sei anni di addii ed espulsioni in casa Cinque Stelle

L’ultimo fuoriuscito da M5S:  l’eurodeputato David Borrelli (foto Ansa)
L’ultimo fuoriuscito da M5S: l’eurodeputato David Borrelli (foto Ansa)

Sono i nemici giurati dell’articolo 67 della Costituzione che vieta il vincolo di mandato, e hanno tentato di aggirarlo a colpi di codici e multe salatissime. Ma la breve storia politica dei Cinque Stelle è costellata di cambi di casacca, addii, dimissioni, epurazioni, autosospensioni ed espulsioni. Non solo in Parlamento, dove nell’ultima legislatura (e finora unica) sono stati 21 i pentastellati che hanno cambiato gruppo alla Camera e 18 al Senato. Pochi rispetto al totale (566) e al record di Forza Italia-Pdl che ha registrato l’emorragia di 43 elementi a Montecitorio e 47 a Palazzo Madama, ma comunque tanti per una forza che si è sempre vantata di essere diversa dalle altre. L’esercito dei fuoriusciti M5S si rimpingua guardando all’Europa - l’ex co-capogruppo Efdd e fedelissimo di Davide Casaleggio, David Borrelli, che ha lasciato ieri, è il terzo ad abbandonare il gruppo - e al territorio, da Quarto a Parma, da Genova a Roma.

Il primo espulso nel 2012 in Emilia Romagna
C’è un tratto che accomuna tutte le uscite: la coda di misteri, veleni, polemiche e delazioni che le accompagna. Ma anche la motivazione: aver in qualche modo violato le regole interne al Movimento, scritte o non scritte. Si comincia nel 2012 con l’espulsione del consigliere comunale di Ferrara Valentino Tavolazzi, “reo” di aver partecipato a una convention di attivisti non autorizzata a Rimini. È il primo a denunciare «un deficit di democrazia interna» nel M5S. Presto se ne aggiungono altri: Federica Salsi, consigliera comunale a Bologna e Giovanni Favia, consigliere regionale scomunicati via blog da Beppe Grillo. A rileggere le parole di Salsi viene un brivido: «Il dissenso non è concepito all’interno del Movimento. Paradossalmente i partiti, con tutti i disastri che hanno arrecato a questo Paese, sono più controllabili dai cittadini di quanto lo siano Grillo e Casaleggio». Salsi parla di Gianroberto, verso il cui potere in una parte dei grillini della prima ora monta l’insofferenza.

Lunghi coltelli in Parlamento
Questo è il clima con cui i Cinque Stelle, nel 2013, si affacciano in Parlamento. Un po’ sindrome da accerchiamento, un po’ tentativo di controllare un gruppo eterogeneo, per di più a digiuno di politica. Un esperimento. A legislatura appena iniziata viene espulso il deputato Marino Germano Mastrangeli, eletto nel Lazio, “reo” di aver partecipato ad alcune trasmissioni televisive (allora vigeva il divieto assoluto, ma soltanto per alcuni). Anche lui sarà il primo di una lunga serie. Le reazioni si somigliano tutte: sono invettive contro quello che ritengono diventato «un sistema feudale di fedeltà» (parole della senatrice Fabiola Anitori), un partito dall’«approccio aziendalista» (il deputato Adriano Zaccagnini), «una setta di fanatici» (il deputato Alessio Tacconi), uno spazio in cui le critiche non sono ammesse. Ma ci sono anche espliciti dissensi rispetto alla linea, per esempio sulla gestione del famoso incontro in streaming con Pier Luigi Bersani. In mezzo si consumano drammi, pianti, liti personali, assemblee o consultazioni online per decidere le espulsioni. Succede alla deputata sarda Paola Pinna, accusata ante litteram di non aver versato quanto concordato al Fondo per il microcredito del Mise.

Grane giudiziarie o pretesti?
Il dissidente “principe” e il più amato resta il sindaco di Parma Federico Pizzarotti, il primo amministratore locale nella storia dei Cinque Stelle e anche il più deciso nel rivendicare autonomia. La sua vicenda è paradigmatica di un altro filone di addii, quelli legati a vicende giudiziarie. Il motivo ufficiale per cui a maggio 2016 viene sospeso dal M5S è non aver comunicato un avviso di garanzia nell’ambito di un’inchiesta per le nomine al Teatro Regio, poi archiviata. Ma con i vertici è gelo da almeno un anno. Lascerà qualche mese dopo con un’accusa pesantissima: «Siamo stati consumati da arrivisti ignoranti». Sarà rieletto sindaco alle amministrative 2017. Grane giudiziarie sono state alla base dell’espulsione dal M5S della sindaca di Quarto, Rosa Capuozzo, che è rimasta al suo posto senza il simbolo, e soprattutto della sospensione dei tre deputati siciliani Riccardo Nuti, Claudia Mannino e Giulia Di Vita, coinvolti nel caso firme false. Qualcuno continua a ritenerli vittime di una resa dei conti interna.

Le fughe dalla giunta di Roma
Non è andata meglio nelle amministrazioni che dovevano essere il simbolo della svolta Cinque Stelle. Virginia Raggi a Roma ha cambiato sei assessori, anche qui tra drammi e polemiche: alcuni di loro erano stati chiamati con il placet di Casaleggio jr, come Massimo Colomban, altri erano e restano attivisti fuori linea, come Andrea Mazzillo. Che ha osato mettere in discussione la gestione eterodiretta della Capitale e ha pagato non solo con la poltrona, ma anche con l’esclusione dalle parlamentarie.

I nodi post 4 marzo
A fare da sottofondo a tutte le vicende c’è la fatica di consolidare una classe dirigente e di conservare il “mito” della purezza e dell’onestà come tratto distintivo, come la “rimborsopoli” di questi giorni dimostra. I tentativi di mediazione più strutturata tra la base e i vertici - come fu il “direttorio” di cinque componenti rappresentativi delle varie anime - sono falliti. Con Beppe Grillo defilato, restano Davide Casaleggio a gestire le chiavi del Movimento e Luigi Di Maio con i suoi fedelissimi a provare a traghettare il Movimento verso Palazzo Chigi. Su di loro aleggia l’incognita del gruppo parlamentare che verrà, tutto da conoscere (si stima doppio rispetto alla precedente legislatura) e da fidelizzare. Le scorie del caso rimborsi non aiutano a cominciare serenamente: a oggi sono già sei i candidati “traditori” che, se eletti, non entreranno nel gruppo.

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