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Nel cantiere Tap, dove si va al lavoro sotto scorta armata

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Reportage da Melendugno, Puglia

Nel cantiere Tap, dove si va al lavoro sotto scorta armata

DAL NOSTRO INVIATO
Melendugno - Lunedì Alessandro Coricciati ha trovato davanti all'azienda di Martano un telone bianco su cui era scritto con vernice rossa: «Coricciati collabora con Tap, no Tap né qui né altrove». Coricciati vende la sabbia alla De Pascalis, e la De Pascalis fornisce il calcestruzzo alla Saipem, e la Saipem lavora nel cantiere del gasdotto Tap in costruzione a Melendugno, 10 miliardi di metri cubi di metano l'anno da far arrivare dall'Azerbaigian all'Europa passando per Turchia, Grecia, Albania e Adriatico.

Mentre Alessandro Coricciati staccava dal muro in silenzio amarissimo il telone che lo denunciava collaborazionista, nelle stesse ore il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, commentava il corso di alta formazione nel turismo pagato ai ragazzi pugliesi dalla società Tap: «Mi auguro che nessun giovane salentino aderisca a questa offerta tradendo la sua terra». Proprio così, tradendo la sua terra. E poi: «Che nessun operatore turistico intenda assumere coloro che parteciperanno a queste iniziative di formazione». Bisognerebbe scandire a una a una le parole di Michele Emiliano presidente della Regione Puglia.

Ancora. Quattro mesi fa, su diversi muri, vernice nera: «Prof. Boero complice di Tap». Boero è un biologo ed ecologo dell'Università di Lecce che ha condotto alcune ricerche su commissione della società Tap.
Ancora. La settimana scorsa è stato imbrattato un portoncino d'ingresso alla sede della Confindustria Lecce; il presidente Giancarlo Negro, 51 anni, sposato, due figlie, imprenditore con la Links (consulenze informatiche soprattutto nel segmento bancario), osserva amareggiato: «Abbiamo ricevuto espressioni di solidarietà da istituzioni, imprese, sindacati ma nessuna parola da nessun politico».

Elmetto bianco, giaccone ad alta visibilità, gambe inzaccherate fino al ginocchio con sbaffi di mota grigia, un operaio che lavora nel cantiere Tap dice: «Mi sono sentito come in quelle foto che ci avevano fatto vedere in un documentario. Juden, negozio ebreo, qui gli ebrei non possono entrare, insegnanti giudei fuori dalle scuole del regno e così via. Mi sento così. Non capisco». Come si chiama? «No, non scriva il mio nome».

Il convoglio del lavoro
Che cosa succede nella società salentina, rinomata per la cultura dell'accoglienza e del dialogo? Forse si può capire qualcosa di più entrando prima dell'alba nel cantiere Tap di San Basilio insieme con gli operai. Non entrano in cantiere come tutti gli operai del mondo che vanno al lavoro. Gli operai del cantiere Tap per poter lavorare devono formare un'autocolonna ed entrare sotto scorta armata. Troppi parabrezza in frantumi, troppi assalti ai camionisti.
«Arrivavo al lavoro e un energumeno è saltato fuori da dietro un muretto a secco e ha cominciato a tempestare il cofano della macchina», ricorda uno del cantiere. «E mentre fracassava la carrozzeria gridava: “hai una bella macchina, hai una bella macchina”».

Così per far lavorare chi lavora è stato inventato il convoglio degli operai. La Questura raccomanda che non venga scritto né il luogo di formazione dell'autocolonna né l'ora. Tra gli oliveti del Salento, il buio della notte. Un piazzale lungo una provinciale è illuminato da centinaia di fanali di furgoni, camion, automobili, pulmini, autobotti; e poi le camionette della finanza, della polizia, dei carabinieri, tutti con i lampeggianti blu accesi. E la vigilanza privata.
I funzionari della Digos registrano i nomi e si salutano tutti, operai poliziotti ingegneri camionisti, si conoscono e si incontrano tutte le notti prima dell'alba. Poi si forma l'autocolonna, in testa i mezzi del Reparto Mobile, poi la fila di lampeggianti blu delle diverse divise, poi le automobili e i pulmini, infine i camion carichi dei materiali che serviranno per i lavori della giornata, il cemento, l'acciaio, i macchinari. Infine chiude la colonna un'altra sezione della scorta.

Il serpentone di fanali è lungo un paio di chilometri; attraversa le campagne del Leccese fino al comune di Melendugno, frazione San Foca, contrada San Basilio.
Quando passa il convoglio degli operai la provinciale è bloccata dalle auto della polizia, il traffico deviato, i semafori perdono ogni valore. Ogni incrocio, ogni stradina campestre che sbocca sulla provinciale è chiusa da un gippone con i lampeggianti blu. Gli operai devono essere difesi dagli agguati.
Il cantiere Tap si distingue da lontano tra gli olivi perché è illuminato come uno stadio in notturna. Dietro gli olivi c'è il presidio dei comitati No Tap, che si oppongono alla costruzione del metanodotto. Da qualche settimana, da quando la multinazionale svizzera Tap ha ottenuto un prestito di un miliardo e mezzo dalla Banca europea degli investimenti, i comitati di opposizione hanno alzato il tono della protesta.

Il cancello del cantiere si spalanca. Vigilanza armata, illuminato a giorno, fari e telecamere, il cicalino dei walkie talkie. Barriere di cemento, reti con il filo spinato sulla sommità, e una rete altissima come quelle dei campi da tennis per evitare il lancio di pietre. Perché i primi tempi le pietre volavano alte sopra le recinzioni. Non si contano gli agguati ai camion, i parabrezza spaccati a sassate.
Ogni mezzo in ingresso e in uscita deve essere registrato e autorizzato, gli addetti alla sicurezza controllano sugli elenchi le auto e i camion, che dopo il controllo si distendono sui piazzali di terra battuta. Compaiono gli elmetti e i giacconi da lavoro, gli stivaloni ingrommati di fango. Davanti a una betoniera si svolge il briefing: un capo con accento bresciano, forse un ingegnere, ricorda alla squadra le norme sulla sicurezza sul lavoro, poi assegna gli incarichi della giornata, elenca gli arrivi dei materiali, avvisa delle condizioni meteo perché se c'è vento il gruista deve interrompere il lavoro con i carichi sospesi, e a Melendugno quando c'è vento è jentu, vento serio.

Che cos'è il Tap
Il Tap è un metanodotto internazionale in costruzione dall'Azerbaigian all'Europa. Il primo tratto si chiama Tanap, e attraversa la Turchia. Dal confine con la Grecia si chiama Tap, Trans Adriatic Pipeline. Il tracciato, scavalcati i monti dell'Epiro, attraversa l'Albania fino a Fier dove la conduttura s'immergerà nell'Adriatico per riemergere in Puglia, in provincia di Lecce, in comune di Melendugno. Dopo un tratto di 8 chilometri fra gli olivi ci sarà la stazione di ricezione, dove finirà il Tap e comincerà la rete italiana della Snam. Va costruita anche la parte Snam di alcune decine di chilometri per allacciare la conduttura ai grandi metanodotti da trasporto che arrivano vicino a Brindisi.
Costo complessivo dell'intero “corridoio Sud”, 45 miliardi. Costo del solo Tap, 4,5 miliardi. Stato di realizzazione, i due terzi.

Tra un paio d'anni la conduttura del Tap porterà verso l'Europa 10 miliardi di metri cubi di metano. Nel tratto salentino, la tubatura del Tap passerà in profondità in una galleria scavata sotto la spiaggia di San Basilio e sotto un'area delicata di macchia mediterranea, senza toccare un granello di queste zone sensibili. Quando poi cominciano gli oliveti, il tubo sarà posato in una trincea scavata dalla ruspa, come avviene per tutte le altre condutture degli acquedotti, dei gasdotti e delle fognature. Gli olivi traslocati per poter posare la tubazione saranno ricollocati.

L'opposizione al Tap
La posa del metanodotto ha suscitato una forte preoccupazione. Oltre a diversi abitanti di Melendugno, tra i quali il sindaco Marco Potì, alla protesta contro la tubazione si uniscono movimenti più “ribelli” e più politicizzati della provincia, con numerose relazioni internazionali nel mondo della contestazione, ma anche la sensibilità di molte persone comuni, di famiglie, di bambini. La protesta così assume i colori più diversi, dai pensierini dei bambini scritti con la biro sul foglio a righe fino alle sassate contro gli operai colpevoli di lavorare.
Il luogo dell'approdo della tubatura è stato scelto con diversi criteri, il principale dei quali è evitare le praterie di posidonia sotto il mare pugliese, dove le piante acquatiche mettono radici e formano rifugi preziosi per la vita marina.
«Devasterà il nostro territorio», ma il Tap non è diverso dagli altri 36mila chilometri di gasdotto che attraversano l'Italia per ogni parte. In Salento questa tubazione incontra un'opposizione tenace che opere di impatto simile non trovano, come quando pochi chilometri più in là si è trattato di traslocare i 2.500 olivi lungo il tracciato impegnativo dell'Acquedotto del Sinni.
Molti abitanti di Melendugno non sono spaventati dal progetto, alcuni ne sono anzi attratti, ma in molti la realizzazione del Tap suscita una paura diversa, accende un orgoglio e il senso di una lesione e di un'invasione esterna. Come la cicatrice di una ferita.

Nel cantiere del Tap
Nel cantiere adesso è in costruzione il vascone, una dozzina di metri per lato e una dozzina di profondità, nel quale verrà posata la fresa, una talpa meccanica. L'ingegnere spiega: «Partendo dal fondo di questa scatola di calcestruzzo, la talpa scaverà una galleria lunga un chilometro e mezzo alla profondità di una quindicina di metri sotto il piano campagna e sotto la superficie dell'Adriatico. Nella galleria dal diametro di tre metri passerà la tubazione».
Mentre i turisti della spiaggia di San Basilio con i materassini non vedranno nulla, a 800 metri al largo la talpa farà uscire il tubo sul fondo del mare, da dove una nave posatubi della Saipem comincerà a saldare tubazione con tubazione fino ad arrivare dall'altra parte del mare, a Fier in Albania.
Intanto verso terra, dal punto in cui oggi c'è il cantiere fin verso la Masseria Capitano, saranno scavati otto chilometri di trincea in cui posare fra gli oliveti il tubo. Alla Masseria Capitano, in quello che oggi è un pascolo incolto, sarà costruito un impianto di ricezione del gas.
Il cantiere di San Basilio è popolato da operai in tuta arancio ed elmetto bianco provenienti da ditte diverse. Molto fango grigio, ora si usa il cemento in pressione. Da un lato nei container si sta attrezzando una mensa. Nel cantiere si lavora dall'alba al tramonto; di notte rimangono solamente i vigilanti con l'uniforme blu e le forze dell'ordine. Fuori dalle recinzioni, le persone più tenaci nella protesta rimangono nel presidio No Tap.

La bolla
Il cantiere del Tap è come una bolla. Il mondo di fuori è come se non esistesse, di là dalle reti che nascondono alla vista gli olivi. Dentro vi abita un microcosmo che comprende anche una volpe, addomesticata dai vigilanti ad avvicinarsi per prendere cibo. L'unica cosa che traspare dietro il velo delle reti antisasso sono i pattugliamenti dei ragazzi No Tap, i quali camminano rasente alle recinzioni.
Un operaio (mi raccomando, niente nomi) si leva l'elmetto e asciuga la fronte: «Un giorno un ragazzo No Tap ha indicato queste recinzioni e mi ha detto: siete come Auschwitz. Ma io mi trovo tra quelli chiusi dentro».
Il cielo si schiarisce con l'alba e lascia intravedere nuvole cupe di temporale. L'illuminazione da stadio si spegne. Fra poco sarà giorno e ha voglia di piovere.

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