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Lo Stato prende per le corna le vacche sacre della ’ndrangheta

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prefettura di Reggio Calabria

Lo Stato prende per le corna le vacche sacre della ’ndrangheta

(Marka)
(Marka)

Anno domini 2018: un prefetto della Repubblica, Michele Di Bari in quel di Reggio Calabria, è costretto a occuparsi di vacche. Ritenute (da taluni) sacre.
La religione non c’entra nulla, eppure, come accade in India, anche per i bovini che in questo periodo dell’anno vagano liberamente nella Piana di Gioia Tauro e in alcuni centri della Locride è vietata macellazione, vendita e consumo. Se però in India la vacca è considerata sacra perché madre dei popoli di Bharat, nome antico del continente e dunque fonte di vita, in Calabria la presunta sacralità fa rima con morte. Chi si ostina a vedere in un bovino libero solo un animale e non anche un simbolo sacro per le cosche che qui controllano spesso anche l’aria che si respira, se la vede brutta.

Ne sanno qualcosa i familiari di Fortunato La Rosa, stimato primario di oculistica in pensione. L’8 settembre 2005 pagò con la vita per aver denunciato il vagabondaggio di alcuni capi nei suoi terreni a Bruverello di Gerace. Nessuno (o quasi) osa impedire il girovagare senza meta da un terreno all’altro dei bovini o anche solo vietarne l’attraversamento, da quando – correva l’anno domini 1971 e l’uomo aveva già percorso pressoché ovunque e da centinaia di anni la via della civilizzazione – la faida di Cittanova tra le famiglie Raso e Facchineri lasciò morti sul campo e nei pascoli vacche di cui nessuno poteva più occuparsi, intente come erano i proprietari a farsi la guerra. Nessuno, nella Piana di Gioia Tauro attraversata dalla violenza delle cosche, osò toccare un solo bovino e da allora questa tradizione che solca sul terremo le tracce di un primato criminale ancestrale e ricco di significati si perpetua.

Dal 1971 lo Stato ha sopperito all’inerzia delle amministrazioni locali e all'indifferenza (nel peggiore dei casi) delle collettività, a colpi di ordinanza. Una della prefettura di Reggio Calabria, nel 2010, con la quale si intimava «a tutte le forze dell'ordine e ai loro ausiliari di provvedere all'abbattimento dei bovini vaganti, limitatamente al caso in cui questi dovessero creare una situazione di pericolo concreto per l’incolumità delle popolazioni e per la sicurezza della circolazione». Più o meno la stessa cosa accadde nel 2015, con il piccolo particolare che non si trovavano specialisti disposti ad abbattere i bovini che creavano pericolo. E di pericoli ne creano eccome. I più gravi il 16 ottobre 1987 a Cittanova e il 15 ottobre 1992, quando alcuni vagoni deragliarono a causa di vacche sui binari. Non ci furono feriti ma neppure una diffusa indignazione popolare.

Si arriva così ai giorni nostri con un prefetto. Michele Di Bari, molto attento anche alla devastante simbologia della mafia, il quale decide di prendere la vacca per le corna. Nella speranza che la frase non si presti a facili ironie.
Il 6 marzo è partito un piano – pienamente operativo da oggi, 14 marzo – che, oltre ad aver portato alla cattura di alcuni capi e a prevedere l'identificazione di quelli che pascolano abusivamente e la narcotizzazione di chi vaga senza microchip di identificazione, contempla il coinvolgimento pieno dei sindaci. Sta a quelli di Cittanova, Taurianova, Terranova, Sappo Minulio, Varapodio, Molochio, San Giorgio Morgeto, Ardore e Pazzano deciderne le sorti. E per giungere a questa conclusione, ci sono volute, oltre alla trama tessuta dal prefetto, un Comitato di ordine pubblico a Cittanova (capitale del vagabondaggio bovino) in cui sedevano, oltre ai sindaci, anche il questore di Reggio Calabria Raffaele Grassi, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Gaetano Paci, quello di Palmi, i comandanti provinciali della Guardia di finanza e dei Carabinieri, il presidente del Parco nazionale dell’Aspromonte Giuseppe Bombino, il comandante provinciale dei vigili del fuoco, Anas, Protezione civile provinciale e regionale e altri rappresentanti delle Istituzioni. «L’obiettivo della task force – ha dichiarato Di Bari – è quello di tutelare l'incolumità pubblica e ripristinare concetti di legalità nei territori dove si registra questo fenomeno».
Alla riunione c’era anche una rappresentanza di uditori del comitato “No bull” di Cittanova che il 16 dicembre 2017 è sceso per la prima volta in piazza insieme a Libera.

r.galullo@ilsole24ore.com

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