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M5S a Palazzo Chigi? Sarebbe il primo caso al mondo di partito digitale al governo

Luigi Di Maio, Davide Casaleggio - Ansa
Luigi Di Maio, Davide Casaleggio - Ansa

Le elezioni del 4 marzo ci hanno restituito un paradosso: nel Paese tra i meno digitalizzati d’Europa (l’indice Desi della Commissione Ue, basato sugli indicatori di connettività, capitale umano, utilizzo di Internet, integrazione della tecnologia digitale e servizi pubblici digitali, ci colloca al terzultimo posto) il primo partito è il più digitale al mondo. L’unico ad avere a suo supporto Rousseau, una piattaforma di democrazia diretta appositamente sviluppata da un’azienda privata, la Casaleggio Associati, e donata a un’associazione di cui sono soci Davide Casaleggio e due fedelissimi: Pietro Dettori ed Enrica Sabatini. Nulla a che vedere, per struttura proprietaria e radicamento della forza collegata, con le piattaforme dei vari partiti pirata sorti in vari Paesi, come LiquidFeedback. Semmai il M5S riuscisse nell’intento di arrivare a Palazzo Chigi, sarebbe un caso unico di partito digitale al governo. E si aprirebbero scenari inediti: che ruolo avrebbe Rousseau? Quali i rischi e quali i vantaggi?

«Finché la piattaforma resta uno strumento per far esprimere gli iscritti al Movimento non vedo problemi, anzi», afferma Fulvio Sarzana, avvocato romano esperto di nuove tecnologie e docente all’Università telematica Uninettuno (nonché sondato dai pentastellati per un’eventuale candidatura nei collegi uninominali, che ha rifiutato). «È un esempio di democrazia digitale da diffondere e sposare, come prova il successo del M5S». Diversa è però l’attività di governo. «È chiaro che allora bisognerà dividere nettamente i due ambiti, pubblico e privato», sostiene Sarzana. L’avvocato fa l’esempio del blind trust statunitense, il sistema che impone a un soggetto politico di affidare le sue imprese a persone diverse nel momento in cui assume incarichi di governo. «Il principio è lo stesso», dice: «Distinguere tra posizione pubblica e privata». Ma la piattaforma Rousseau è già giuridicamente distinta dal Movimento, essendo gestita da un’associazione che fa capo a Casaleggio, privo di incarichi nel M5S. «Sì, ma bisognerà stabilire cosa potrà fare dal punto di vista pubblico: chiarire quale potrà essere il ruolo pubblico dell’associazione privata».

Il tema è scivoloso. All’Associazione Rousseau confluiranno circa 1,2 milioni di euro l’anno (meno del fatturato 2016 della Casaleggio Associati), frutto dei 300 euro mensili che ogni neoletto pentastellato deve versarle, secondo le nuove regole, per «il mantenimento delle piattaforme tecnologiche che supportano l’attività dei gruppi e dei singoli parlamentari e consiglieri» (articolo 6 del Codice etico) . In una legislatura sono 6 milioni. Non è dato sapere se la stessa architettura sarà chiamata a supportare i ministri di un eventuale governo Cinque Stelle. O come potrebbe essere usata per orientare le linee programmatiche. Ma è là che potrebbero nascere sovrapposizioni. Si prenda l’Estonia, più volte indicata come modello dal M5S: il Paese leader della rivoluzione digitale globale, dove online si vota, si firmano documenti, si apre un’impresa e addirittura si può prendere la residenza “virtuale”.

Immaginare evoluzioni di Rousseau a quel livello è ancora fantascienza. «Ma già se dovesse diventare la piattaforma di collegamento tra ministeri, per fare un esempio concreto, si creerebbe un problema», sottolinea Sarzana. «Se invece restasse come è oggi, ovvero una piattaforma che mette in comunicazione gli eletti e favorisce la partecipazione dal basso, non vedo scenari pericolosi di privatizzazione della cosa pubblica». Ma anche nel primo caso, a suo avviso, la situazione resterebbe sotto controllo: scatterebbero le regole sul conflitto d’interessi e bisognerebbe andare a verificare sul campo se l’utilizzo di una piattaforma privata si stia sovrapponendo a una cosa pubblica. «Se succedesse sarebbe comunque compito dell’opposizione incalzare. Le leggi ci sono, non servono interventi aggiuntivi».

Sarzana non si stupisce che l’Italia, così arretrata sul digitale, abbia visto trionfare un Movimento nato e cresciuto sul web: «C’è un equivoco da chiarire: noi italiani non siamo digitalizzati se guardiamo alla burocrazia statale. Ma siamo lo Stato con più smartphone in Europa. Il digitale ha sostituito eccome la comunicazione e le forme di consenso tradizionali. La politica oggi è digitale. Trump ha usato i big data elaborati a partire dai contenuti veicolati sui social media per orientare i suoi messaggi in base ai target a cui si riferiva, nei singoli Stati», ricorda l’esperto.

Non è una strategia dissimile da quella del M5S. Basta guardare alla differenziazione delle promesse in campagna elettorale: Luigi Di Maio ha annunciato meno tasse e più innovazione al tessuto produttivo del Nord, mentre ha riproposto al Sud scoraggiato e più duramente colpito dalla crisi il cavallo di battaglia del reddito di cittadinanza. I Cinque Stelle hanno più volte cambiato posizionamento sull’Europa e sull’immigrazione. Eppure i cittadini nelle urne li hanno premiati: più della coerenza ha vinto la capacità di adattarsi agli umori del momento. Non è un fenomeno pericoloso, se alla base c’è un sistema informatico privato che raccoglie dati? «Non credo. Abbiamo gli anticorpi per evitare derive. E teniamo ben presente un elemento: Rousseau è la rappresentazione digitale di un Movimento politico. La forza della piattaforma è direttamente collegata a quella del M5S».

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