L’elezione dei futuri presidenti dei due rami del Parlamento è un caso interessante di possibili giochi intrecciati. In teoria questa decisione e quella sulla formazione del governo potrebbero essere decisioni dipendenti l’una dall’altra. Pare invece che la soluzione del problema sarà cercata separando le due decisioni e non fondendole. Niente giochi intrecciati, dunque. Ma vediamo meglio come stanno le cose partendo dalle regole.
Le regole del gioco
Al Senato, che sarà la prima camera a votare, per i primi due scrutini è prevista la maggioranza assoluta dei membri. Al terzo scrutinio basta la maggioranza assoluta dei votanti. Qualora anche in questa votazione nessuno abbia riportato la maggioranza richiesta si procede nello stesso giorno al ballottaggio fra i due candidati che abbiano ottenuto nel terzo scrutinio il maggior numero di voti. Vince chi prende la maggioranza, anche se relativa. Quindi in questo ramo del parlamento la quarta votazione è decisiva. Il gioco si chiude lì. Le regole della Camera invece sono diverse. Il gioco potrebbe andare avanti all’infinito. Infatti nel primo scrutinio la maggioranza è due terzi dei membri, nel secondo e terzo diventa due terzi dei voti, comprese le schede bianche. Dal terzo scrutinio in poi ci vuole la maggioranza assoluta dei voti. In entrambi i rami si vota a scrutinio segreto.
Gli attori in gioco
In questa partita gli attori in gioco sono tre: Pd, M5s e blocco di centro-destra. Insieme controllano 614 seggi su 630 alla Camera e 309 su 315 al Senato. Nessuno dei tre ha la maggioranza assoluta. Qualcuno potrebbe obiettare che in realtà i soggetti sono quattro considerando la Lega come attore indipendente. Ma non è così. Ci sono buone ragioni per considerare il centro-destra come blocco unitario, cioè come un soggetto che deciderà insieme. Infatti una rottura su questa questione indebolirebbe irrimediabilmente la coalizione nella trattativa successiva sul governo. La pretesa di rappresentare la maggioranza relativa nei due rami del parlamento non potrebbe più essere sostenuta se il centro-destra non apparisse, e non si comportasse, come soggetto unitario. Salvini e Berlusconi sono condannati ad andare “d’amore e d’accordo”, come dice Salvini. Con buona pace del cavaliere.
Due poltrone per tre
Quindi due poltrone per tre. La soluzione che si profila è quella di una spartizione delle due presidenze tra i due vincitori delle elezioni: il Senato alla Lega e la Camera al M5s. Resterebbe fuori il Pd. È molto probabile che finisca così e non ci sarebbe nulla da ridire. È dal 1994 che le presidenze delle camere vanno ai vincitori. Però dal 1994 al 2013 i vincitori facevano anche il governo. Questa volta non sarà così. Si eleggeranno i presidenti delle camere senza sapere chi farà il governo. La questione del governo è avvolta nelle nebbie.
Pd e questione governo
Per evitare la spartizione Lega-M5s il Pd dovrebbe darsi una mossa. Ma la ricerca di un accordo non potrebbe essere limitata alle due presidenze. Per rompere lo schema su cui si sta lavorando il Pd dovrebbe mettere sul tavolo la questione del governo. Solo un eventuale accordo Pd-M5s sul futuro esecutivo potrebbe rimescolare le carte. In questo caso una delle due camere potrebbe andare al Pd e l’altra al centro-destra o al M5s. Ma il Pd non è pronto a fare un passo del genere. D’altronde il M5s non può permettersi di non fare accordi. Senza una intesa con il centro-destra lo schieramento di Salvini al quarto scrutinio avrebbe i voti sufficienti per eleggere il presidente del Senato e otterrebbe quindi un risultato importante senza aver preso impegni sulla Camera. Facendo l’accordo il M5s concede la presidenza del Senato avendo in cambio la presidenza della Camera. Se i patti verranno rispettati.
Le attese del Colle
Non molto tempo fa si ragionava sul fatto che l’elezione dei presidenti delle due camere sarebbe stata una indicazione preziosa per il presidente della repubblica in vista della formazione del futuro governo. Dubitiamo che sia così. L’intesa tra M5s e centro-destra, se ci sarà, non potrà essere vista come un primo passo verso un possibile accordo di governo. Sarà una intesa limitata, ma non per questo meno significativa. Sgomberare il campo in tempi brevi dal problema della elezione dei due presidenti non è un risultato da poco, visto il quadro politico uscito dal voto. Di questi tempi bisogna accontentarsi. Nelle nostre condizioni tutto quello che crea un po’ più di stabilità va nella direzione giusta.
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