L’ora X è fissata per le 10 di venerdì prossimo al Senato e per le 11 dello stesso giorno alla Camera. Le aule saranno convocate per la prima volta e la diciottesima legislatura avrà ufficialmente inizio. L’avvio coinciderà con l’elezione dei presidenti di entrambi i rami del Parlamento. Un obiettivo che sarà possibile centrare se le trattative in corso durante questa settimana porteranno a un accordo che terrà alla prova del voto in Aula.
Secondo round di incontri tra M5S e gli altri partiti
I capigruppo M5S Danilo Toninelli e Giulia Grillo faranno un secondo round di incontri con i rappresentanti di tutti i partiti dopo la prima interlocuzione avuta già la scorsa settimana. L’obiettivo è quello di trovare accordi fra le forze politiche su due nomi (uno alla Camera e uno al Senato) che reggano in aula alla prova del voto segreto.
Quorum, alla Camera si parte da quota 420
In base al regolamento di Montecitorio, per l’elezione del presidente della Camera serve la maggioranza con quorum dei due terzi dei componenti nel primo scrutinio. Nel secondo e terzo scrutinio è invece richiesta la maggioranza dei due terzi dei voti, computando tra i voti anche le schede bianche. Dopo il terzo scrutinio basta la maggioranza assoluta dei voti. Poiché al momento non si intravede un accordo tale da coagulare il consenso dei due terzi del Parlamento (420 voti), lo scenario più probabile è quello secondo cui le prime tre votazioni - che dovrebbero svolgersi nella giornata di venerdì - andranno a vuoto. La giornata risolutiva potrebbe essere quella di sabato, quando si voterà con il quorum più basso, la maggioranza assoluta, ovvero 316 voti. Se anche sabato la fumata fosse nera, questo significherebbe l’impossibilità di trovare un accordo da parte dei tre poli in cui è diviso il Parlamento. A questo punto la Camera potrebbe decidere di andare avanti a oltranza o, al contrario, di prendersi una pausa di qualche giorno per nuove trattative.
Quorum, al Senato si parte da quota 161
Per l’elezione del presidente del Senato è richiesta la maggioranza assoluta dei voti dei componenti l’assemblea nei primi due scrutini, quindi 161 voti. Nel caso che questi due scrutini non diano esito positivo, è sufficiente nel terzo scrutinio la maggioranza assoluta dei voti dei senatori presenti. Qualora anche in questa votazione nessuno abbia riportato la maggioranza richiesta, il Senato procede nello stesso giorno al ballottaggio fra i due candidati che abbiano ottenuto nel precedente scrutinio il maggior numero di voti e viene proclamato eletto quello che consegue la maggioranza, anche se relativa. A parità di voti è eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età. Questo vuol dire che, a partire dal quarto scrutinio, in mancanza di accordi tra i tre poli, il centrodestra potrebbe eleggersi il suo candidato: conta in tutto 137 senatori, questo vuol dire che gli mancano solo 24 voti per la maggioranza assoluta. Per questo motivo, il Senato potrebbe eleggere il proprio presidente già venerdì prossimo, al più tardi sabato.
Voto segreto
A “complicare” la partita c’è il fatto che il voto per eleggere i presidenti delle Camere è rigorosamente segreto. Quindi, anche in presenza di un accordo trasversale a più forse politiche, c’è il rischio “franchi tiratori”, cioè singoli parlamentari o gruppi che “contravvengano” agli ordini di scuderia dati dai vertici dei partiti. Una eventualità non così remota in un contesto nel quale i partiti - soprattutto quelli usciti male dalle elezioni, come il Pd - sono attraversati da profonde divisioni interne.
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