Indicare l’opportunità di disinnescare le clausole di salvaguardia fiscali anche in un eventuale Def limitato, in prima battuta, a definire il quadro a legislazione vigente. È l’ipotesi che, con il trascorrere delle ore, sta prendendo corpo anche sulla base dei contatti tra il Governo attualmente in carica e i partiti che, dopo il voto del 4 marzo, stanno faticosamente cercando di individuare la strada per arrivare, dopo l’elezione dei presidenti delle Camere, alla formazione di una nuova maggioranza e dare la possibilità al Capo dello Stato di affidare l’incarico per la nascita del nuovo esecutivo.
Tutte le forze politiche sono concordi sulla necessità di bloccare anche nel 2019 l’aumento di Iva e accise. Se i tempi per la nascita del Governo non saranno troppo lunghi (entro fine aprile o inizio maggio) è probabile che il Def, anche grazie all’apertura di Bruxelles che ha di fatto prolungato la finestra per l’esame del Documento, venga varato dal nuovo esecutivo, senza rispettare la scadenza del 10 aprile, nella forma standard (tendenziale, programmatico, Programma di stabilità e Piano nazionale di riforma). A questo punto verrebbe anche “comunicata” ufficialmente la decisione di sterilizzare le clausole.
Ma nel caso in cui il percorso per l’individuazione di una maggioranza dovesse rivelarsi lungo, la presentazione da parte del Governo Gentiloni di un Def “light”, prevalentemente “tabellare” con il solo aggiornamento del quadro a legislazione vigente, diventerebbe obbligata e anche la scadenza del 10 aprile verrebbe sostanzialmente rispettata (soluzione non sgradita al ministero dell’Economia). Resterebbe il nodo dell’aumento automatico di Iva e accise per 12,4 miliardi nel 2019 anno e di 19,1 miliardi nel 2020 che sarebbe necessariamente incorporato nel “tendenziale” su cui già da alcune settimane stanno lavorando i tecnici del Mef ovviamente senza soffermarsi sul quadro programmatico, di competenza del nuovo Governo. E proprio per evitare equivoci e mandare subito un messaggio chiare a Bruxelles, che sulla carta a maggio dovrebbe emettere il suo giudizio sulla manovra 2018 e sull’eventuale correzione da mettere in campo per evitare una procedura d’infrazione (3,4 miliardi), si sta valutando l’idea di ricordare nell’eventuale Def “light” come negli ultimi anni le clausole fiscali siano sempre state sterilizzate. Il tutto accompagnato da una formula di “invito” a disinnescare gli aumenti Iva anche nel 2019 e precisando che per realizzare questo intervento servono naturalmente, come in passato, anche le coperture. Spetterebbe poi al nuovo Governo rendere stringente questo impegno con la presentazione della versione estesa del Def.
In questo scenario il Def “light” sarebbe sottoposto alle Camere (in assenza delle Commissioni permanenti l’esame toccherebbe a un’apposita commissione speciale alla Camera così come al Senato) con un passaggio in Aula dove ogni formazione o coalizione (Cetrodestra, M5S e Pd) in assenza di maggioranze e minoranze definite presenterebbe una propria risoluzione per impegnare il Governo su alcuni specifici punti. Una soluzione che non vedrebbe pregiudizialmente contrario il M5S e anche una parte del Pd. Ma sono in molti anche a non mostrarsi affascinati dall’ipotesi del Def in due tempi.Secondo Francesco Boccia, esponente della minoranza Pd e presidente della commissione Bilancio alla Camera nella scorsa legislatura, «è preferibile evitare i due tempi per non rischiare di lasciare il Paese in una terra di nessuno che è quella che va dai tendenziali ai saldi programmatici. Una scelta che ci farebbe apparire schizofrenici davanti ai mercati».
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