Domenica 24 maggio 2009. A Pomigliano d’Arco, città dell’hinterland napoletano a grande tradizione industriale, tra le alterne vicende degli stabilimenti Fiat e Alenia, arriva l’uscente assessore regionale alle Attività produttive Andrea Cozzolino, «colonnello» del Pd campano e delfino del governatore Antonio Bassolino.
Il comizio sarebbe un plebiscito se non fosse per l’azione disturbatrice di due ragazzi poco più che ventenni che incalzano il politico di lungo corso con domande trabocchetto su temi quali onestà e questione morale. Domande cui Cozzolino, da politico di lungo corso, non risponde. Finisce che i ragazzi vengono allontanati con modi piuttosto spicci dai militanti democrat ma uno dei due appare piuttosto rigido nell’esercizio della sua resistenza passiva. Ha 22 anni, carnagione di colorito scuro, indossa un paio di jeans scambiati e una Polo Ralph Lauren azzurra che celebra la Nazionale italiana di calcio campione del mondo in carica, con sopra il numero 3 di Fabio Grosso.
«Cozzolino non ci ha risposto», si ostina a dire a chi lo mette alla porta. «Cozzolino ci deve rispondere». Si chiama Luigi Di Maio e nel 2009 nessuno, in quella sala popolata da più di una vecchia volpe della politica vesuviana, si sarebbe aspettato che nove anni più tardi sarebbe diventato il candidato premier del primo partito italiano. «E la stessa ostinazione che Luigi mise in quella resistenza passiva al comizio Pd, la stessa caparbietà nel non scendere a compromessi con i “padroni di casa”, la stessa intransigenza ideologica dalla faccia pulita la stiamo vedendo e la vedremo in questi giorni di trattative per la formazione del nuovo governo».
A parlare è Paolo Picone, 47 anni, pomiglianese doc come lo stesso Di Maio, giornalista e unico biografo del giovane leader pentastellato «ma biografo not embedded», ci tiene a sottolineare, «perché non sono un militante Cinque Stelle, conosco bene Luigi ma conservo gelosamente la mia indipendenza, non mi interessava fare una biografia autorizzata». Uscirà a metà aprile Di Maio il giovane - Vita, opere e missione del politico più votato d’Italia (Aliberti, euro 12, pp. 150), edizione riveduta e corretta (alla luce dei risultati elettorali del 4 marzo) del libro che Picone un anno fa ha dedicato al «Gigino Nazionale». Biografia not embedded, ok, ma parecchio «informata informata dei fatti», se consideriamo che l’autore, concittadino di Di Maio, ha frequentato gli stessi posti e la stessa gente, a cominciare dal locale Liceo Classico Imbriani. Per dire: nel 2007, quando a Pomigliano il Grillo-pensiero era poco più che una suggestione, Picone organizzò il primo Meetup cittadino, assistendo all’esordio politico del candidato premier M5S.
La presa del potere da parte di Luigi primo da Pomigliano d’Arco
E veniamo al dunque: quando partiranno le consultazioni con il Quirinale per il nuovo esecutivo, come si è muoverà Di Maio secondo chi lo conosce bene? Picone non ha dubbi: «Salirà al Colle e chiederà a Mattarella il mandato esplorativo per la formazione del governo. Stavolta non assisteremo al film dell’elezione dei presidenti delle Camere, perché Luigi non arretrerà di un centimetro: i Cinque Stelle non appoggeranno un esecutivo con un presidente del Consiglio diverso da Di Maio. Si cercheranno convergenze con la Lega rispetto ai 20 punti proposti dal M5S in campagna elettorale, reddito di cittadinanza in primis, magari ci saranno Salvini vicepremier, qualche ministero importante affidato al Carroccio, significative aperture al programma leghista su temi quali l’immigrazione. Magari si potrebbe guardare anche altrove, a Leu per un appoggio esterno, ma scordiamoci il sostegno pentastellato a un governo guidato da Forza Italia. Parlerà con tutti, tranne che con Berlusconi». E se il tentativo dovesse naufragare? «A quel punto - continua Picone - i Cinque Stelle si chiamerebbero fuori dai giochi. Mattarella incentiva la formazione di un governo del presidente? Di Maio è pronto a una guerra di logoramento con tutto il peso che può avere all’opposizione il primo partito d’Italia». Della serie: volete governare senza di noi? Accomodatevi e tanti auguri.
Gigino e i quattro pregiudizi
Possibile che nel Paese della famigerata Casta, con tutti i politici navigati che ci sono a giro, nessuno riesca a «mettere la museruola» a Gigino? Nessuno lo seduce? Nessuno è capace di ricondurlo a più miti consigli? «Il caso Di Maio», secondo il giornalista campano, «è forse il più clamoroso caso di sottovalutazione politica della storia recente». Il politico, secondo il suo biografo, sarebbe vittima di quattro pregiudizi: «È giovane, non ha la laurea, vendeva bibite al San Paolo, ha fatto il webmaster. Il primo pregiudizio la dice lunga su come siamo messi in Italia: essere giovani qui è quasi una colpa, un peccato originale. Sul secondo punto si potrebbero scomodare numerosissimi protagonisti assoluti della prima e della seconda Repubblica che una laurea non hanno mai provato a prendersela. Di Maio ha interrotto gli studi di giurisprudenza con l’elezione in Parlamento ma, proprio perché è ancora giovane, ci sta benissimo che, archiviati i due mandati parlamentari, torni sui banchi». Gli altri due punti sarebbero riconducibili al tentativo costante di ridurre il politico alla caricatura di sé stesso. «Quando lo scorso autunno - ricorda Picone - si affermò nelle consultazioni online tra i militanti come candidato premier, lo sport nazionale era scherzarci su: Di Maio concorre contro sette nani, si disse, lo sfidano sette carneadi, è tutta una farsa. Si alludeva al fatto che nessuno dei big pentastellati gli si fosse controproposto. Tutti alle prese con la caricatura, nessuno con un serio tentativo di comprensione di un personaggio che viene da lontano. E che, contrariamente a quello che si può pensare, quando serve studia e impara in fretta».
Uno smanettone che «impara in fretta»
Il giovane Di Maio, rimarca Picone, «è figlio della buona borghesia pomiglianese. Suo padre è geometra e titolare di un’impresa edile, con trascorsi nel Movimento Sociale e in Alleanza Nazionale». A Pomigliano la politica la masticano un po’ tutti: veniva da queste terre anche Giovanni Leone, il presidente della Repubblica dello scandalo Lockheed, quello che, quando fu eletto, pare abbia salutato così la moglie a telefono: «Vittoria, t’aggio fatto regina». Istantanee del secolo scorso, quando la politica si faceva offline.
La madre di Di Maio è «professoressa di italiano e latino, preside all’Istituto comprensivo di Cercola. È vero», continua il giornalista, «la cosa può soprendere, considerando che Luigi soffre di “congiuntivite”, ma il suo, per come la vedo io, è più un problema di consecutio temporum che di scarsa dimestichezza con l’italiano». Alla faccia dell’esperienza da steward allo stadio San Paolo, il politico grillino «non si interessa minimamente al calcio. Al contrario, è un grande appassionato di Formula 1, tifoso competente della scuderia Ferrari». Al liceo «non era certo un secchione ma, quando puntava un obiettivo, riusciva a raggiungerlo. I professori lo ricordano come uno che lavorava sodo». Proprio all’epoca nacque la sua grande passione per i computer. Un Di Maio «smanettone», insomma, «punto di riferimento di compagni e insegnanti che, quando hanno problemi con il pc, a lui si rivolgono perché li risolva». Soddisfazione garantita.
Ti stai sbagliando di certo perché... non è «Gigino»
Inevitabile girare al biografo una domanda che un po’ tutti gli osservatori politici a un certo punto si sono posti: perché proprio Di Maio e non Alessandro Di Battista o magari Roberto Fico? «La persona giusta a cui fare questa domanda», secondo Picone, «sarebbe stato Gianroberto Casaleggio. Aveva una grande stima di Luigi, era consapevole che, più di tutte le altre prime linee pentastellate, era dotato di un profilo istituzionale, quello che serviva per il definitivo salto di qualità del Movimento». Acquisito dove? «Nell’esperienza da vicepresidente della Camera. È lì che Di Maio cambia, lì cresce, si fa talvolta apprezzare anche dai parlamentari di altro colore politico». Come? «Studiando quando serviva e imparando in fretta. È un caso che proprio lui sia stato mandato all’estero dal partito come testimonial dei Cinque Stelle? Non direi».
Qualcuno ha detto che Di Maio, con quel bel doppiopetto grigio che sfoggia a Montecitorio, è intimamente democristiano, «se avere un profilo istituzionale significa essere democristiani, - secondo Picone - allora Luigi lo è». Ma si uscirà mai dai pregiudizi anti Gigino? L’autore di Di Maio il giovane ribalta il discorso: «Lo stesso nomignolo Gigino, talvolta addirittura scritto con due “g”, corrisponde sempre al tentativo di ridurre un politico vero a macchietta. Per carità: si tratta di un diminutivo molto popolare al Sud, Napoli compresa, ma nessuno, a casa Di Maio o in giro per Pomigliano, si sognerebbe mai di chiamare così Luigi». E mentre l’opinione pubblica giocava a chiamarlo Gigino, Luigi il giovane «ha messo in fila Renzi, Berlusconi e Salvini, come aveva fatto con i sette nani delle parlamentarie. È andata a finire che adesso è lui quello che dà le carte». Altro che Gigino: questo, semmai, è Luigi primo da Pomigliano d’Arco.
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