All’ultima Imm di Colonia hanno disegnato lo stand di Pedrali reinterpretando le architetture sperimentali americane delle Case Study Houses e il modernismo degli anni 50: «Una citazione funzionale a comunicare un’idea di eleganza, adeguata alle loro più recenti collezioni. Per lo stesso marchio al Salone del Mobile proponiamo qualcosa di completamente diverso, molto spettacolare».
Per Calvi Brambilla, ovvero gli architetti Fabio Calvi e Paolo Brambilla, più che le tendenze conta la coerenza progettuale. Oltre a diversi prodotti (Bento, un divano componibile da esterni per Varaschin; Amaca, una collezione di tavolini per Tonelli design; Superficie, lampada da parete per Foscarini), al Salone di quest'anno sono stati chiamati a curare gli allestimenti degli stand in fiera di (sempre più) numerose aziende: Pedrali, appunto, Zanotta, Olivari, Tonelli design, Pianca, Da a, Ceccotti e Antonio Lupi. Tra le altre cose, hanno allestito anche l’undicesima edizione del Triennale Design Museum, sempre a Milano, dal 14 aprile al 20 gennaio 2019.
A proposito di allestimenti, come sono cambiate le esigenze dei vostri committenti?
Alcune si ripetono e spesso richiedono una soluzione alle contraddizioni: come presentare con freschezza le icone del passato? Come mostrare quello che non si vede, ovvero i dettagli nascosti che fanno la differenza? Come ribadire la personalità specifica di un marchio, eppure presentarsi come novità? Altre richieste sono completamente inedite: progettare in funzione di quello che il pubblico posterà su Instagram, ad esempio, è qualcosa a cui non avremmo mai pensato una decina d’anni fa. Nel tempo, inoltre, abbiamo visto crescere la cura per gli allestimenti al Salone, perché, nonostante la diffusione del digitale, l'esperienza diretta è insostituibile: in fondo il design si occupa soprattutto di oggetti che hanno a che fare con il corpo.
Ci sono maestri a cui vi siete ispirati?
Studiamo attentamente i maestri dell’allestimento, Castiglioni in particolare. In generale, però, lasciamo che i nostri progetti siano contaminati da suggestioni che vengono dall'architettura, dall'arte, dallo spettacolo.
C’è un filo conduttore nei vostri lavori?
Non crediamo nella necessità di avere un segno che ci contraddistingua. Per ognuno dei nostri progetti elaboriamo una strategia su misura, con risultati estetici spesso anche molto diversi. Ci concentriamo sul metodo, sforzandoci di mantenere una coerenza tra le esigenze a cui si deve rispondere e il risultato finale.
In che direzione sta andando la vostra ricerca progettuale?
Negli ultimi lavori si è fatta più evidente la nostra passione per l’architettura: non solo negli elementi costruttivi, ma soprattutto negli spazi. Ci stiamo allontanando dalla retorica della precarietà degli allestimenti.
Che cos’è il design per voi?
Non è semplice dare una risposta univoca. Oggi indica attività progettuali che prima appartenevano ad ambiti distinti, dallo spazio domestico alle interfacce uomo-macchina, dalla moda ai servizi. Talvolta è stato definito per contrapposizione all’architettura: se in questa prevale una pretesa di permanenza nel tempo, nel design si privilegia la trasformazione, la flessibilità, la leggerezza. Rispetto all’arte, il design non ha sensi di colpa nell’entrare nei meccanismi del mercato, anzi, ha l’ambizione di guidarlo, addirittura di educarlo. Queste distinzioni, però, sembrano sempre meno convincenti: si moltiplicano le architetture effimere da un lato e le edizioni limitate di design dall'altro. Allora tutto può essere design, quello che fa la differenza è il progetto consapevole rispetto alla proliferazione di oggetti disegnati male.
Come è cambiato il mondo del Salone negli anni?
Abbiamo assistito alla creazione di grandi gruppi che hanno riunito marchi storici: questo dovrebbe portare a una migliore strutturazione delle aziende, speriamo che non affossi la spontaneità vitale che da sempre caratterizza il design italiano.
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