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Salvini medita la rottura con Berlusconi per un governo Lega-M5s: la decisione dopo le regionali

Luigi Di Maio e Matte Salvini (Ansa)
Luigi Di Maio e Matte Salvini (Ansa)

«Nessun accordo è possibile con i 5 Stelle, un partito che non conosce l'abc della democrazia, che prova invidia sociale, formato solo da disoccupati, e che rappresenta un pericolo per l'Italia». Poi la sciabolata finale: «È gente che non ha mai fatto nulla nella vita: nella mia azienda li prenderei per pulire i cessi». Venerdì mattina Silvio Berlusconi parla così del M5s dal Molise, dove si vota domenica per il rinnovo del consiglio regionale. Parole volutamente pesanti, e dalle quali non si torna indietro.

Venerdì pomeriggio invece arriva da Palermo la sentenza di primo grado sulla trattativa Stato-mafia che condanna a 12 anni l'ex senatore azzurro Marcello Dell'Utri, tra i fondatori di Forza Italia e per anni stretto collaboratore di Berlusconi. Un uno-due che chiude definitivamente la porta del possibile accordo di governo tra pentastellati e centrodestra unito.

Ora lo schema possibile di gioco in questo campo è rimasto uno solo: la rottura formale tra Matteo Salvini e il leader storico di Forza Italia con la formazione di un governo a due teste, ossia quella di Salvini e quella del leader pentastellato Luigi Di Maio. Un governo giallo-verde insomma, senza gli azzurri. Ma il leader della Lega ha chiesto comprensibilmente tempo al suo possibile alleato prima di compiere questo passo storico, che lo farebbe di colpo diventare il leader di un partito del 17% invece che il leader di una coalizione del 37 per cento.

Salvini, che confida di “rubare” al vecchio leader di Forza Italia un po' di parlamentari ora e un bel po' di voti in futuro, arrivati a questo punto sta seriamente valutando il grande passo e ha messo sul tavolo la questione della premiership: rompo la coalizione di centrodestra - in sintesi - se faccio il premier. E da parte sua Di Maio, forte del 32% raccolto dal M5S, non sembra al momento disposto a cedere sulla premiership. Ma soprattutto la eventuale rottura del centrodestra potrà avvenire solo dopo le elezioni regionali (domenica si vota in Molise e il 29 aprile in Friuli Venezia Giulia) , dove Lega e Forza Italia si presentano unite in coalizione.

Che cosa farà nel frattempo il capo dello Stato Sergio Mattarella, che ha impresso un'accelerazione alla crisi con l'incarico alla presidente del Senato Elisabetta Casellati proprio per non dover attendere i “comodi” di Salvini e Di Maio e quindi l'esito delle elezioni nelle due regioni chiamate al voto? Probabilmente darà un incarico esplorativo al presidente della Camera Roberto Fico senza i limiti imposti a Casellati (perimetro centrodestra-M5S) , ossia per consultare tutti i partiti, compreso il Pd.

Ma mentre fino a poche ore fa si pensava che un incarico a Fico avrebbe messo i democratici alle strette, costringendoli a “scongelare” il loro no a qualsiasi soluzione di governo, il nuovo quadro politico riporta per così dire il Pd alla finestra: non possono esserci aperture di dialogo con il M5S, come qualcuno della minoranza auspica, se sul tavolo c'è ancora la possibilità di un'intesa tra Di Maio e Salvini, previa rottura del centrodestra.

Il Pd può cambiare la sua posizione di “noi all'opposizione” solo quando, e se, le altre opzioni politiche saranno del tutto esaurite. Per questo ieri il segretario reggente Maurizio Martina, che si pone nel mezzo tra i dialoganti e i renziani, respingeva con secchezza le avances giunte da Berlusconi: «Rivendico con forza la posizione chiara del Partito democratico, e dico a chi pensa di dividerci che questo scenario non esisterà mai».

Al momento l'unico scenario che nel Pd si prende seriamente in considerazione è quello di un governo del presidente, o istituzionale, se le opzioni politiche dovessero fallire. Ma per ora, come ha ricordato l'ex leader Matteo Renzi, «tocca a loro».

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