C’è un minimo comune denominatore nei programmi dei partiti usciti vincitori o sconfitti dal voto del 4 marzo che potrebbe tradursi in uno dei primi provvedimenti del nuovo governo, a prescindere dalla sua composizione. È il rafforzamento del Reddito di inclusione (Rei), la misura di contrasto alla povertà che dal 1° gennaio scorso ha sostituito il vecchio Sostegno per l’inclusione attiva (Sia). Basterebbe una spesa aggiuntiva di 1,5 miliardi l’anno nel prossimo triennio per coprire l’intera platea di residenti che vivono in condizioni di povertà assoluta (circa 4,7 milioni di individui; il 7,9% della popolazione).
L’attuale programma è finanziato con 2,1 miliardi quest’anno, 2,5 nel 2019 e 2,8 miliardi strutturali a decorrere dal 2020 (si sfiorano i 3 miliardi considerando anche i fondi Pon). Con queste risorse avranno diritto alla misura circa 2,5 milioni di poveri assoluti, secondo le previsioni del governo uscente. Si tratta di poco più della metà della platea. Per coprire il resto si deve arrivare a 7 miliardi strutturali secondo l’Alleanza contro la povertà, vale a dire l’unico soggetto rappresentativo a livello nazionale (raccoglie 35 organizzazioni) che ha siglato il piano del vecchio governo. Un obiettivo che si può conseguire senza far saltare i saldi incrementando cumulativamente la dotazione attuale del Rei, come detto, di circa 1,5 miliardi l’anno.
Per fare questo passo, però, le forze politiche dovrebbero solo resistere alla tentazione massima di ogni nuovo governo: cancellare i programmi in corso per varare una nuova misura. «Il Rei è partito da poco più di tre mesi e in questo momento i territori sono impegnati con l’attuazione della misura, che è molto complicata. Chi va al governo deve evitare la tentazione di fare la riforma della riforma» spiega Cristiano Gori, professore di politica sociale a Trento, ideatore dell’Alleanza e coordinatore del gruppo di esperti che ha elaborato la proposta del Reddito d’inclusione sociale (Reis) che il Rei ha in ampia parte replicato. Se il Movimento 5 Stelle rinunciasse al suo Reddito di cittadinanza (costo stimato tra i 15 e i 30 miliardi) e lo stesso facesse il centro-destra con la sua proposta del Reddito di dignità (circa 29 miliardi di costi secondo gli analisti più esperti del settore) ecco una soluzione minima perseguibile addirittura con il consenso del Pd , che ha appena rilanciato sul rafforzamento del Rei, e di LeU.
A fine marzo Inps ha fornito i primi dati di attuazione: oltre 316mila beneficiari (110.138 famiglie) con un finanziamento medio mensile di 297 euro. A questa platea va sommata quella dei percettori del Sia di fine 2017: circa 477mila persone con un importo medio mensile di 244 euro. «L’attuale valore monetario del Rei consente alla maggior parte delle famiglie coinvolte di migliorare sensibilmente la propria condizione, ma non di uscire dalla condizione di povertà. Per raggiungere questo obiettivo bisogna elevare gli importi» spiega ancora Gori, secondo il quale il rafforzamento del programma non dovrebbe modificare l’allocazione attuale delle risorse, destinate a regime per circa il 20% al finanziamento dei servizi territoriali di attivazione e gestione della misura che, lo ricordiamo, è condizionata all’adesione a un percorso di inclusione e attualmente limitata a 18 mesi di finanziamento, rinnovabile per altri 12 dopo uno stop di 6 mesi.
L’attuale piano prevede che il Rei diventi davvero universale il 1° luglio prossimo, quando verranno meno i vincoli riferiti alla composizione del nucleo familiare (presenza di figli minori, donne in gravidanza, disabili, disoccupati over 55) e gli unici requisiti di accesso diventeranno quelli di natura economica. Potranno così chiedere il Rei tutte le famiglie in possesso dei previsti limiti di reddito e patrimoniali: Isee fino a 6mila euro; Isre fino a 3mila euro; patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 20mila euro; patrimonio mobiliare (depositi, conti correnti) non superiore a 10mila euro.
Il 1° luglio è dietro l’angolo, una data a portata di mano per un nuovo governo che volesse dare un primo segnale politico. Secondo Marco Leonardi, economic advisor del presidente del Consiglio uscente, un nuovo finanziamento del Rei dovrebbe garantire un rafforzamento degli importi erogati: «In alcuni casi quelli attuali non consentono ai percettori di superare la soglia di povertà misurata - spiega - per questo le maggiori risorse in una prima fase andrebbero aggiunte senza modificare i requisiti che scattano il 1° luglio e rendono universale il Rei. Poi bisogna lavorare per far sì che il maggior numero dei beneficiari potenziali venga raggiunto, sapendo che non è un’operazione facile. Solo in una seconda fase si può pensare ad allargare un poco i requisiti».
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