Il Pd riconosce il «passo» di M5S di chiudere il confronto con la Lega ma «al tempo stesso non nascondiamo le differenze tra noi, è giusto dirlo per serietà e responsabilità». Dunque non spezza il filo del dialogo avviato Maurizio Martina dopo le consultazioni con il presidente della Camera Roberto Fico. Che nel pomeriggio può riferire al capo dello Stato l’«esito positivo» del suo secondo giro di consultazioni con Cinquestelle e dem, che si conclude «qui ed oggi»: tra i due partiti, assicura, «il dialogo è avviato».
Certo, manca il via libera definitivo della direzione del Pd «ma il concetto fondamentale è che il dialogo è stato avviato», conclude Fico uscito sorridente dal faccia a faccia con Mattarella. Il suo atteggiamento positivo non piace a molti dem, tra cui il capogruppo a Palazzo Madama Andrea Marcucci che parla di «ottimismo sorprendente» e di «logica del fatto compiuto» che non porta «da nessuna parte», rinviando per una valutazione più realistica delle consultazioni a dopo il vertice dem, perchè «le distanze programmatiche erano e restano profonde». Ma tant’è: nessuno stop ufficiale equivale a un lasciapassare, almeno sulla carta, per il dialogo.
Si può andare avanti, dunque, ed è così anche per il capo del M5s Luigi Di Maio che a metà giornata assicura massimo impegno per un risultato che sia però al rialzo e in discontinuità col passato. Alla fine nelle mani del presidente incaricato arriva quel «siamo disponibili a sederci al tavolo col Pd per iniziare a contrattare il contratto e mettere al centro i temi», pronunciato da Di Maio, che basta almeno per scongiurare un niente di fatto immediato.
«Ci interessa dare una mano a questo Paese in una fase delicata della storia istituzionale e politica. Se siamo arrivati fino a qui è perché altri hanno fallito, per cinquanta giorni assistito a diversi tentativi che non hanno prodotto un esito utile. Questo lavoro lo facciamo con spirito di servizio e nel solco degli indirizzi dati dal presidente Mattarella», spiega Martina. Anche se la palla passa poi al confronto nella sua sede “naturale” che avrà l’ultima parola («abbiamo deciso di convocare la direzione nazionale Pd il 3 maggio prossimo per decidere se e come accedere a questo confronto da comunità collettiva. Insieme discutiamo e poi insieme lavoriamo»).
Sul Colle più alto c’era attesa per le conclusioni finali del presidente Roberto Fico all’esito dei colloqui avuti con M5S e Pd nella laboriosa esplorazione di una intesa per dar vita a un governo. Corrono veloci le ore e molte voci convergono sul fatto che sarà proprio il tempo un fattore determinante per i prossimi passaggi che attendono il capo dello Stato. Perché malgrado nei dem sia niente affatto maturata l’ipotesi di un abbraccio con i pentastellati di carte alternative ne rimangono poche sul tavolo, ridotti quasi a zero gli scenari immaginabili anche con uno scatto di fantasia dopo il precedente naufragio del tentativo di un accordo giallo-verde («bisogna mettere mano a questo continuo conflitto di interesse che c'è in Italia, penso ad esempio al fatto che Berlusconi usando le sue tv continua a mandare velate minacce a Salvini», non manca di dire Di Maio oggi).
Negli ultimi giorni in molti avevavo dato per certa una richiesta di Fico al presidente della Repubblica di allargare le consultazioni di qualche giorno per far digerire alla base del partito guidato da Maurizio Martina la firma di un contratto di governo con i Stelle. Il confronto interno tra aperturisti e “intransigenti” sul fronte del no è solo rinviato, però, alla Direzione convocata per il 3 maggio («abbiamo grande rispetto per il dibattito apertosi nei nostri movimenti. Va assolutamente rispettato perché è vero che siamo forze diverse, siamo forze che hanno espresso ed esprimono anche punti di vista molto diversi»). Come anche specularmente dagli stessi elettori a Cinque Stelle che stanno rovesciando il proprio dissenso in gran quantità sulla rete.
Ma del resto il M5S non intende mettere in discussione la volontà di non partecipare a un esecutivo di emergenza con pochi punti di programma pur di far partire la legislatura e non si vede quali chance di successo abbia, senza il sostegno della forza premiata dagli elettori con una nutritissima rappresentanza parlamentare, una soluzione del genere. Argomenti che rendono dunque plausibile un rinvio (a termine) del fischio finale sul mandato al presidente incaricato. Con lo spettro sullo sfondo del ritorno alle urne entro l’anno.
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