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Riforme, da Renzi un segnale per ricompattare il partito

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L'Analisi|direzione Pd

Riforme, da Renzi un segnale per ricompattare il partito

Dopo quasi due mesi di veti incrociati tra i partiti incentrati soprattutto sulle persone (no a Di Maio premier, no a Salvini premier, no a Forza Italia nella coalizione di governo) la proposta dell’ex segretario del Pd Matteo Renzi di un patto costituente tra le forze politiche lanciata ieri sera in tv fa Fabio Fazio e anticipata dal Sole 24 Ore ha almeno il merito di spostare un po’ oltre lo sguardo e la prospettiva di una legislatura cominciata con uno stallo evidente: nonostante la propaganda post-elettorale, nessuno ha vinto le elezioni del 4 marzo. Certamente il Pd le ha perse, essendo arrivato al suo minimo storico di poco più del 18%, ma né il M5s né la coalizione di centrodestra guidata da Matteo Salvini sono in grado da soli di trovare una maggioranza per far partire un governo.

L’ipotesi ballottaggio
Dopo la bocciatura del referendum costituzionale il 4 dicembre del 2016 che ha lasciato intatta l’anomalia di due Camere con uguali poteri legislativi che danno entrambe la fiducia al governo è difficile al momento pensare che i partiti abbiano le capacità di riprendere quel filo. Eppure con due Camere e tre poli nessuna legge elettorale, neanche il Mattarellum basato sul 75% di collegi uninominali, è in grado di consegnare un vincitore. Solo il ballottaggio tra le prime due forze politiche può risolvere il problema della governabilità con una scelta democratica, lasciata cioè nelle mani dei cittadini con un secondo voto. Ma uno dei motivi per cui la Consulta ha bocciato nel gennaio 2017 il ballottaggio previsto dall’Italicum è stato proprio la permanenza di due Camere legate da rapporto fiduciario con il governo: con due basi elettorali diverse (per il Senato possono votare solo i cittadini che hanno compiuto 25 anni) c’è sempre il rischio che due ballottaggi diano risultati opposti.

Poche chance di dialogo sulle riforme adesso
La proposta di Renzi non riguarda certo la riproposizione della riforma bocciata dagli italiani, che comprendeva anche la riscrittura del Titolo V e molti altri aspetti, ma si limita al superamento dell’anomalia del bicameralismo paritario lasciando ai due partiti “vincitori” l’onore e l’onere di una proposta alla quale il Pd darebbe il suo appoggio con l’obiettivo di ridisegnare il campo di gioco comune. La reazione immediata del leader pentastellato Luigi Di Maio («il Pd la pagherà») non promette bene, ma è dettata soprattutto dal fatto che Renzi ha chiuso alla possibilità di un governo politico tra M5s e Pd - auspicato invece da altri dirigenti come Dario Franceschini - allontanando di fatto la possibilità che Di Maio possa sedere a Palazzo Chigi.

Legislatura costituente per compattare il partito
In attesa delle decisioni del Capo dello Stato, che potrebbe a questo punto archiviare i tentativi politici e passare direttamente alla proposta di un governo di transizione o istituzionale che dir si voglia, la mossa di Renzi ha soprattutto dei riflessi interni: la sua netta chiusura alla possibilità di un governo politico con il M5s è un dato di fatto di cui anche i suoi oppositori devono prendere atto, perché se non altro per una questione di numeri tutti nel Pd sono convinti che tale governo senza l’ok di Renzi (e dei suoi parlamentari) non può partire. Mentre la proposta di una legislatura costituente per tornare ad essere alternativi dopo le prossime elezioni ha tutte le basi per compattare il partito attorno a una strategia: non a caso Franceschini in un’intervista al Corriere della sera del 14 marzo scorso ha fatto la stessa proposta.

In direzione conta dagli esiti incerti
Il ritorno in campo dell’ex segretario a quattro giorni dalla prevista direzione svuota insomma la stessa discussione che la direzione era chiamata ad affrontare: se far partire o meno la trattativa con il M5s. E indebolisce la posizione del segretario reggente Maurizio Martina, che quella trattativa vorrebbe avviare anche per rafforzare la sua alternatività a Renzi in vista dell’assemblea nazionale che dovrà deciderne la successione. Più che sul governo, la conta - sempre possibile - in direzione sarebbe su questo. Ma sarebbe una conta dagli esiti incerti che non conviene né a Martina né a Renzi.

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