Due aliquote, e quattro scaglioni di fatto con il gioco delle deduzioni, sono tanti per una «Flat Tax» vera e propria, perché la tassa è davvero «piatta» se l’aliquota è unica. Ma il meccanismo in corso di elaborazione, in vista delle riunioni decisive di oggi sul «contratto di governo» fra Lega e Movimento 5 Stelle, prova a mettere insieme due esigenze politiche: il maxi-taglio fiscale con semplificazione del sistema che ha animato il programma economico del Carroccio, e la difesa della «progressività» posta come condizione dai Cinque Stelle.
«Stiamo trovando ampie convergenze su reddito di cittadinanza, Flat Tax, legge Fornero, sulla lotta al business dell’immigrazione, sul conflitto di interessi», ha spiegato il leader M5S Luigi Di Maio ieri uscendo dall’incontro con il segretario del Carroccio Matteo Salvini. Ma per mettere nero su bianco la versione definitiva della proposta fiscale bisogna definire il nodo dei costi, per farlo andare d’accordo con la linea “prudente” del Movimento che vorrebbe tenersi ancorato alla linea di riduzione del deficit.
Da questo intreccio nasce l’idea di dividere i contribuenti Irpef in due gruppi: quelli con reddito famigliare fino a 80mila euro, a cui applicare l’aliquota del 15%, e quelli più “ricchi”, per i quali la richiesta sale al 20%. Il primo gruppo sarebbe ulteriormente diviso in tre dal meccanismo delle deduzioni fisse da 3mila euro: scatterebbero per ogni componente nelle famiglie con redditi fino a 35mila euro e sarebbero limitate ai famigliari a carico fra 35 e 50mila, per scomparire nella fascia successiva. Con questa impostazione, i tagli più generosi arriverebbero ai contribuenti con un reddito famigliare da 40-60mila euro: di qui la «fortissima convergenza tra M5S e Lega sulla flat tax, che presenta enormi benefici sul ceto medio» filtrata ieri da fonti dei Cinque Stelle dopo l’incontro fra i due leader. Anche così, però, il taglio fiscale vale 45-50 miliardi: sulle coperture, la Lega rilancia la ricetta fatta di maxi-rottamazione delle vecchie cartelle, spending e taglio alle tax expenditures (in particolare sugli incentivi alle attività inquinanti l’accordo è a portata di mano). Ma è qui che si gioca la partita decisiva.
Gli effetti
Partiamo dai numeri. Le notizie migliori, si diceva, arriverebbero in particolare per la fascia fra 40 e 60mila euro di reddito famigliare, che si vedrebbe ridurre l’imposta statale anche di oltre la metà. In questo ambito, secondo le ultime dichiarazioni fiscali, si collocano due milioni di italiani, il 5% dei contribuenti totali. Ma attenzione: tutti i calcoli del nuovo sistema, spinto in particolare dal Carroccio che ne ha fatto la propria bandiera in campagna elettorale, si basano sul concetto di «reddito famigliare», rappresentato dalla somma delle entrate dei componenti, per cui la platea potrebbe essere più larga. Maxi-tagli sono promessi dal fisco futuribile al centro dell’accordo anche ai redditi più elevati, mentre le cose si complicano per le fasce più basse, dove è forte il peso delle detrazioni attuali che sarebbero sostituite dalla riforma. Un single con 15mila euro di reddito all’anno, per esempio, si vedrebbe ridurre l’imposta statale solo del 5%, e con lo stesso reddito una famiglia andrebbe addirittura a pagare più tasse di oggi. La proposta della Lega prevedeva per questi casi una clausola di salvaguardia per evitare rincari, che dovrebbe essere confermata nella versione finale per evitare sorprese. Il problema non è da poco, in termini di equità ma anche per un aspetto pratico: nella piramide schiacciata dei redditi italiani sono oltre 18 milioni, cioè il 44,9% del totale, i contribuenti che non dichiarano più di 15mila euro.
La ricerca della progressività
Accanto ai costi, il nodo politico che occupa il confronto fra i due aspiranti partiti di governo si concentra sulla progressività, rimarcata dal Movimento 5 Stelle. I grafici in pagina traducono in cifre questi effetti possibili per tre tipologie di contribuenti, ciascuna delle quali è articolata su sei fasce di reddito. Prima di avventurarsi nel dedalo delle cifre è bene sottolineare la differenza fondamentale che separerebbe il sistema attuale da quello ipotizzato dal contratto in arrivo. Oggi per l’Irpef ogni contribuente è un atomo isolato, e la famiglia si manifesta solo sotto forma di sconti per il coniuge o per i figli a carico, con uno sconto maggiore quando i figli hanno meno di tre anni. La riforma, invece, punta tutto sul «reddito famigliare», cioè sulla somma delle entrate dei componenti, e della famiglia si occupa anche con le deduzioni da tre mila euro.
I numeri
Nasce dall’incrocio di questi fattori la curva degli effetti indicata nel grafico in pagina, che per ogni tipologia di contribuente concentra gli sconti maggiori a quota 60mila euro di reddito famigliare. In questo caso il taglio di imposta arriverebbe al 53% per il single, si attesterebbe al 52% per la famiglia monoreddito per ridursi al 31% nel caso della famiglia con due redditi. La stessa gerarchia dei benefici si ripete nell’altra fascia particolarmente “fortunata”, quella da 40mila euro (dal -45% del single al -17% della famiglia bi-reddito) e per i nuclei più ricchi, dove la riduzione di imposta viaggia a livelli simili. Il beneficio si riduce invece drasticamente alla base della piramide dei redditi, fino ad azzerarsi nel caso delle famiglie. Morale della favola: l’Irpef a due aliquote è meno regressiva della Flat Tax originaria, ma rischia comunque di rivelarsi regressiva rispetto al quadro attuale.
Quando il reddito è basso, entrano poi in gioco anche gli «80 euro», che secondo il contratto di governo andrebbero mantenuti, con una mossa che evita di aggravare il problema ma complica ulteriormente la ricerca della quadratura dei conti.
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