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Non c’è intesa su premier e contratto, il governo slitta ancora

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la frenata di lega e m5s

Non c’è intesa su premier e contratto, il governo slitta ancora

Domenica tanto Luigi Di Maio che Matteo Salvini lasciavano intendere che l’accordo fosse dietro l’angolo. Che il lunedì, ovvero ieri, sarebbero andati al Quirinale con il nome del candidato premier da proporre a Sergio Mattarella per dar vita al governo Lega-M5S. Invece, mai come ieri i due, Di Maio e Salvini, sono apparsi distanti. Tant’è che hanno chiesto al Capo dello Stato un ulteriore supplemento di tempo. Quanto non è dato saperlo. Certamente il governo non nascerà questa settimana visto che ieri la Lega ha annunciato per il prossimo week end una consultazione aperta sul possibile contratto di governo a cui ha chiamato a partecipare anche non militanti. E visto che Di Maio, al termine delle consultazioni, ha voluto ricordare che il contratto andrà sottoposto al voto online degli iscritti su Rousseau.

Il confronto comunque va avanti. Anche ieri sera, non appena terminati i colloqui al Colle dei due leader con i rispettivi capigruppo. E oggi alle 9.30 ripartirà. «Non ci sono distanze incolmabili», assicura il presidente dei senatori pentastellati Danilo Toninelli che anche per minimizzare l’impressione di impasse dà per sicura l’intesa tra «48/72 ore». «L’accordo? Sì sul voto...», ironizza però il capogruppo della Lega alla Camera Giancarlo Giorgetti. Una battuta, certo, come ci tiene a precisare il suo omologo al Senato Gianmarco Centinaio, ma che ben fotografa il clima teso che si respira in queste ore. Del resto bastava sentire Salvini appena uscito dal Quirinale, mentre elencava i temi su cui le visioni restano «diverse e distanti» (giustizia, immigrazione, infrastrutture, vincoli europei): «Se non siamo in grado di fare quello che ci chiedono gli italiani non cominciamo neanche e ci salutiamo».

Nonostante i tentativi di spostare l’attenzione sui temi del programma, l’ostacolo principale resta sempre l’individuazione del nome del premier. È evidente che due giorni fa, quando Di Maio ha annullato la partecipazione a “Che tempo che fa”, ci sia stato un corto circuito sulla proposta da presentare al presidente Mattarella. L’economista Giulio Sapelli, contattato da Lega e M5S come ha confermato lui stesso, si era detto disponibile, ma è rimasto papabile per una notte. Non ha giovato la sua raffica di dichiarazioni, compresa quella di volere al Mef Domenico Siniscalco, ministro dell’Economia nel secondo e terzo governo Berlusconi. «È stata autocombustione», ironizza un senatore. Resta in pista, ma tra mille dubbi, Giuseppe Conte, l’altro tecnico su cui è stata sondata la convergenza: ordinario di diritto privato all’Università di Firenze e vicepresidente del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, era stato indicato dai Cinque Stelle come candidato ministro alla Pubblica amministrazione. Ieri, secondo fonti parlamentari, il suo nome sarebbe stato fatto al Colle, anche se dal Quirinale smentiscono.

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Fatto sta che, come ogni volta che si ripiomba nello stallo, sono riprese a circolare dietro le quinte le ipotesi “politiche”, dalla staffetta ai nomi di Giorgetti e dello stesso Di Maio. In molti sono convinti che soltanto un politico, magari pescato tra le seconde file o tra i più stretti collaboratori dei leader, potrebbe sbloccare l’impasse. Anche perché chiunque sarà il premier si troverà a indossare i panni dell’«esecutore» (espressione usata ieri da Di Maio) ovvero di attuatore di un contratto di governo scritto da altri e ratificato dagli iscritti dei due partiti.

Ma su Di Maio Salvini ha intimato un “no” secco, arrivato peraltro nel giorno in cui Giorgia Meloni ha ribadito la sua opposizione a un esecutivo guidato dal M5S. Il segretario della Lega ha tenuto a rimarcare il suo ruolo «non solo di leader della Lega, perché non voglio rompere l’alleanza di centrodestra». Pesa lo scetticismo di Silvio Berlusconi, ora riabilitato, su tutta l’operazione. E, in maniera speculare, pesa sui Cinque Stelle la necessità di non sbilanciarsi troppo a destra, rivendicando qualche battaglia storica che rischia di annacquarsi e di far perdere consensi. Non è un caso che Di Maio abbia citato «il carcere per chi evade» (inserito nell’accordo, si veda pagina 2) e la difesa dei beni comuni, a partire dall’acqua pubblica tra i punti prioritari. Con grande giubilo dei suoi parlamentari che ne hanno fatto una battaglia di vita, come Federica Daga.

In corso c’è una trattativa serrata, fatta di continui incontri e contatti tra i due leader, su chi debba trainare il governo giallo-verde e sul sistema di “contrappesi” che ne dovrebbe derivare. Di fatto, è stata strappata un’altra settimana per capire se l’esecutivo “Brasile” abbia ancora chance per decollare. Le aspettative sono alte. Emma Marcegaglia si è augurata che «prevalga il buon senso e che si vada avanti: è positivo, perché all’Italia serve un governo».

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