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salvini va allo scontro con l’ue

Cinque Stelle più «rigoristi» sui conti ma costretti a rispolverare l’attacco agli eurocrati

Più “rigoristi” su conti pubblici e vincoli europei rispetto alla Lega al tavolo sul contratto di governo, ma costretti sul piano politico a rincorrere Matteo Salvini nell’attacco agli «eurocrati non eletti da nessuno» e a difendersi dall’accusa di essere «i nuovi barbari», arrivata dal Financial Times. «Come vi permettete?», tuona Luigi Di Maio, rispolverando la retorica della «paura del cambiamento in un certo establishment».

Cantiere di governo M5S-Lega: i nodi irrisolti, dalle grandi opere alla giustizia

Le prove di equilibrismo dei Cinque Stelle sono come gli esami: non finiscono mai. Ma mai come in questa fase il piano tecnico va distinto da quello politico, i fatti dalle parole. Al tavolo sul contratto di governo M5S-Lega, infatti, è diventato plastico il paradosso che aveva cominciato a palesarsi sin dal primo giro di consultazioni, se non addirittura in campagna elettorale: quello che vede gli ex anti-euro pentastellati ergersi al rango di “rigoristi” sui conti pubblici e sul rispetto dei parametri europei (anche se loro rifiutano l’appellativo: «Siamo soltanto equilibrati», tengono a precisare), rispetto a una Lega che resta più che battagliera e che punta allo sforamento del deficit di diversi punti pur di provare a fare crescita.

Nel giorno della discussione sui «vincoli esterni», europei in testa, Bruxelles va in pressing perché il futuro esecutivo continui sulla via della riduzione del debito e del deficit in ossequio al Patto di stabilità così come, sul fronte immigrazione, invita a non cambiare passo nella politica di accoglienza seguita finora. Al di là dei proclami battaglieri dei leader, l’accordo tra M5S e Carroccio riguarda per ora soltanto l’indicazione più che generica a rivedere i Trattati, a cominciare dal Fiscal Compact. Ma su tempi e modalità le posizioni divergono.

A un Matteo Salvini tranchant che ancora ieri invocava un Governo che ridiscutesse i vincoli e che oggi bolla come «ennesima inaccettabile interferenza di non eletti» l’auspicio del commissario Ue all’immigrazione, fa eco un Luigi Di Maio che afferma: «I vincoli europei vanno rivisti, dialogando con gli altri Paesi ma vanno rivisti, perché è in Ue che si gioca la partita importante per finanziare tutte le misure economiche che diano diritti sociali agli italiani». Pugni sul tavolo contro dialogo: la differenza è sottile, ma sta lì.

Per i Cinque Stelle parla il lavoro svolto sin qui dietro le quinte in preparazione della risoluzione al Def. E parlano i numeri chiave su cui si ragionava, ormai chiaramente suscettibili di modifiche, ma parecchio indicativi dell’orientamento: l’1,5% deficit-Pil nel 2018 (più basso dell’1,6% indicato nel Def a politiche invariate presentato dal governo Gentiloni) e un sorprendente 0,8% per il 2019, proprio quello che metteva in previsione la Commissione Ue.

La lezione del “sentiero stretto” che il ministro Padoan non si è mai stancato di ripetere sembrava essere ben chiara anche ai pentastellati. Che puntavano a un mix di taglio agli sprechi, accetta sulla spesa improduttiva, investimenti “mission oriented” per la crescita - tutto per abbassare il rapporto deficit-Pil agendo sul lato del denominatore - e su un maxi-taglio al debito pubblico (oggi Bankitalia certifica come sia salito al livello record di 2.302 miliardi di euro) basato su operazioni di ingegneria finanziaria, come l’emissione di bond con immobili pubblici a garanzia (si veda Il Sole 24 Ore dell’8 aprile 2018). Obiettivo: presentarsi ai tavoli europei con una ricetta chiara, seppur complicata e di difficile attuazione. E nel frattempo lavorare per la riforma della governance europea, nel solco del confronto già in corso.

Il quadro, nel frattempo, è diventato più fosco, complici i dati sulla crescita del Pil e sulla produzione industriale inferiori alle attese. Il 23 maggio la Commissione pubblicherà le raccomandazioni di politica economica e di bilancio degli Stati membri, Italia compresa: ancora aleggia lo spettro di una richiesta di correzione da 3,5-5 miliardi. I conti positivi del 2019 e del 2020 che il governo Gentiloni ha lasciato in eredità poggiano sugli aumenti Iva che valgono quasi 31,5 miliardi e che però tutti vogliono scongiurare. Sembra inevitabile che si apra un nuovo negoziato a Bruxelles per strappare altri punti di flessibilità. E non si può confidare a lungo nell’ombrello del Qe della Bce.

M5S e Lega, sempre che l’intesa non salti, dovranno però concordare l’approccio: Il punto di caduta su cui si lavora oggi. E dovranno chiarire come coprire le promesse di reddito di cittadinanza, “flat tax” e superamento della legge Fornero. Ieri un’analisi di Oxford Economics stimava che il pacchetto costasse 105 miliardi, con un’impennata del Pil in rapporto al deficit fino al 5,5%. In queste condizioni, il confine tra sentiero stretto e vicolo cieco rischia di diventare molto sottile.

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