Italia

Con il nuovo governo 4 missioni a rischio: Afghanistan, le due in…

  • Abbonati
  • Accedi
COINVOLTI FINO A 2.500 MILITARI

Con il nuovo governo 4 missioni a rischio: Afghanistan, le due in Libano e Niger

Stando alle dichiarazioni effettuate in passato da esponenti di Lega e Cinque Stelle, quattro missioni internazionali potrebbero non essere prorogate: quella in Afghanistan, le due in Libano e quella in Niger (foto Ansa)
Stando alle dichiarazioni effettuate in passato da esponenti di Lega e Cinque Stelle, quattro missioni internazionali potrebbero non essere prorogate: quella in Afghanistan, le due in Libano e quella in Niger (foto Ansa)

Afghanistan, Libano e Niger. Sono tre le missioni internazionali che rischiano di non essere prorogate dal nuovo governo Cinque Stelle-Lega. Fino a 2.500 militari italiani potrebbero essere richiamati in Italia, per essere poi destinati a missioni che, dal punto di vista del nuovo esecutivo, hanno una valenza più strategica. Tutte e tre scadono a settembre.

Il passaggio del contratto di governo
«È opportuno rivalutare la nostra presenza nelle missioni internazionali sotto il profilo del loro effettivo rilievo per l’interesse nazionale». Lo si legge nel Contratto per il governo del cambiamento, al paragrafo nove, quello dedicato al tema della difesa. Ma quali potrebbero essere le missioni meno strategiche? Impossibile, allo stato attuale, dirlo con certezza. Il nuovo governo non si è nemmeno ancora insediato. Qualche indicazione può arrivare dalle dichiarazioni fatte in passato dai due azionisti di maggioranza, Luigi Di Maio e Matteo Salvini.

Di Maio: il contingente italiano non deve restare più in Afghanistan
A febbraio, nei giorni della campagna elettorale, il leader politico dei Cinque Stelle in un intervento alla Link Campus University aveva fornito qualche indicazione sulle linee essenziali che avrebbero potuto orientare una politica estera pentastellata: «Pensiamo - aveva detto in quell’occasione - che il contingente italiano non debba più restare in Afghanistan. Questa missione espone i nostri soldati a rischi inutili». Quella in Afghanistan è una missione sotto l’ombrello della Nato. È denominata “Resolute Support Mission”. L’obiettivo della missione, alla quale l’Italia partecipa dal gennaio 2015, è svolgere attività di formazione, consulenza e assistenza a favore delle forze di difesa e sicurezza afghane. Con i 900 militari impiegati, l’Italia è al secondo posto per uomini dispiegati. Solo il contingente Usa è più nutrito: oltre 7mila militari. In Afghanista l’Italia impiega 148 mezzi terrestri e otto mezzi aerei.

Sulla nuova missione in Niger: «Mi sembra che convenga più alla Francia»
Agli studenti della Link Campus Di Maio aveva espresso le sue perplessità su un’altra missione che, a differenza di quella in Afghanistan, è nuova, ovvero è iniziata quest’anno. «Della missione in Niger - aveva detto il leader M5S - non mi convincono tanto le regole di ingaggio, sembra tanto una missione che conviene più alla Francia. Noi siamo per la Nato ma ci sono missioni sui conviene essere molto chiari». In occasione del voto con cui a gennaio la Camera ha dato il via libera alle missioni internazionali, M5S ha votato contro. Allo stato attuale la missione nel paese del Sahel vive una fase di stallo: autorizzata a gennaio dal parlamento italiano, esponenti del governo nigerino in più di un’occasione hanno negato di aver dato il via libera al dispiegamento di militari italiani sul loro territorio. Allo stato attuale una cinquantina di militari sono accampati nella base statunitense dell’aeroporto della capitale nigerina. La missione, che ha carattere di addestramento e supporto delle forze di sicurezza locali, prevede il dispiegamento di fino a 120 militari italiani nel primo semestre (attualmente sono una cinquantina, ospitati dalla base statunitense presso l’aeroporto della capitale nigerina) e fino a un massimo di 470 uomini entro la fine dell’anno. L’operazione prevede anche l’impiego di 130 mezzi terrestri e due mezzi aerei.

Dalla Lega lo stop alle missioni in Libano
Infine, l’ultima missione che potrebbe essere a rischio. Quella in Libano. O meglio: quelle in Libano, considerato che i militari partecipano a due operazioni nel paese dei cedri. La prima, sotto l’ombrello Onu, è l’Unifil, acronimo per “United Nations Interim Force in Lebanon”. È dal 1979 che l’Italia partecipa a questa missione (ad oggi sono impegnati 1.100 militari, 298 mezzi terrestri e sei aerei). La seconda missione, a carattere bilaterale, di addestramento delle forze di sicurezza libanesi, è stata avviata nel 2015. Al momento sono impiegati 25 militari e cinque mezzi terrestri. In questo caso a stendere un velo di incertezza sul rinnovo delle due missioni è il Carroccio, l’altro azionista del nuovo esecutivo. Pesano le parole, pronunciate lo scorso settembre dall’allora vicepresidente dei deputati della Lega Nord, Gianluca Pini, nell’aula di Montecitorio: «È necessaria una revisione generale dell'impostazione delle missioni internazionali, a cominciare dalla nostra presenza in Libano, dove spendiamo soldi e non contiamo nulla sul piano diplomatico”. La linea era già stata espressa nel maggio del 2011. L’allora ministro della Semplificazione Roberto Calderoli aveva lanciato il sasso: «Per primo ho chiesto il ritiro dalla missione in Libano. Continuo a ritenere che le missioni nelle quali siamo impegnati siano troppe ed in troppi Paesi: in alcune realtà siamo addirittura più rappresentati degli Stati Uniti».

Il ruolo del Consiglio supremo di difesa
Non va dimenticato quanto prevede l’articolo 87 della Costituzione. La Carta conferisce infatti al presidente della Repubblica la funzione di presiedere il Consiglio supremo di difesa. Si tratta del principale strumento attraverso il quale il Capo dello Stato ottiene informazioni sugli orientamenti del Governo in materia di sicurezza e difesa, così da poter svolgere adeguatamente il complesso ruolo di equilibrio e garanzia attribuitogli dalla Costituzione.

© Riproduzione riservata