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La “seconda vita” delle piattaforme offshore nell’Adriatico

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Ambiente

La “seconda vita” delle piattaforme offshore nell’Adriatico

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L’obiettivo è creare il primo parco marino tecnologico nell’Adriatico e in Europa. Partendo dalle piattaforme offshore (in mare aperto) che altrimenti sarebbero destinate alla rimozione.

Con gli annessi effetti negativi sull’ecosistema che nel frattempo si è formato nell’area circostante alle strutture. Si chiama “Poseidon”, come il dio del mare nella mitologia greca, il progetto pilota che vede in campo l’Eni, in collaborazione con il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e l’Istituto di scienze marine (Ismar).

Un parco scientifico al largo delle coste romagnole
Il progetto punta a convertire le piattaforme non più produttive, attraverso modifiche tecniche minori, in stazioni scientifiche interconnesse ad alto contenuto tecnologico per lo studio dell’ambiente marino. Una trasformazione che, nelle intenzioni del gruppo guidato da Claudio Descalzi, dovrebbe consentire di tutelare la biodiversità marina facendo nascere, come detto, un vero e proprio parco scientifico al largo del tratto romagnolo tra Bellaria e Rimini.

Lo studio californiano
Poseidon prende spunto da uno studio di Jeremy Claisse e del suo gruppo di ricerca dell’Università della California di Santa Barbara e del team dell’Occidental College di Los Angeles. Secondo il team di studiosi, la popolazione marina che vive nei pressi delle piattaforme al largo della costa californiana supera il numero di specie presenti nelle zone costiere.

Il dispositivo che monitora il fondale marino
Da qui il tentativo di regalare alle piattaforme una “seconda vita”. E, per ridurre al minimo le conseguenze delle operazioni e aumentare la sicurezza, Eni ha realizzato un dispositivo per misurare l’andamento del profilo del fondale marino: è il cosiddetto “assestimetro orizzontale” che permette di rilevare le variazioni millimetriche di altitudine. In sostanza, consente di misurare l’eventuale abbassamento del fondo marino. Le piattaforme interessate dal progetto si trovano infatti in un’area costituita da terreni sedimentari sciolti, recenti, in parte in via di formazione. E il ricorso al dispositivo dovrebbe servire a contenere l’impatto sull’ecosistema circostante.

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