Il peggior incubo del M5S si è avverato nel giro di un pomeriggio: prima il “no” di Matteo Salvini a qualunque ipotesi alternativa a Paolo Savona all'Economia, compresa quella del leghista Giancarlo Giorgetti, poi la determinazione del presidente Mattarella a non cedere al diktat dei due partiti.
Finisce così, dopo 83 giorni e un premier incaricato per soli quattro giorni (peraltro di area pentastellata), il sogno del governo giallo-verde e di Palazzo Chigi a portata di mano. Con Luigi Di Maio nella posizione scomoda di chi ha dovuto accodarsi all'impuntatura di Salvini su Savona, si è visto rifiutare uno dopo l'altro tutti i tentativi di mediazione e ora è costretto a rilanciare.
Nasce così l'idea dell'impeachment fatto filtrare dal M5S subito dopo il fallimento di Conte. Un attacco durissimo a Mattarella dopo mesi di sintonia e di collaborazione. Evocare l'articolo 90 della Costituzione, ovvero “l'attentato alla Costituzione ” del presidente della Repubblica che giustificherebbe la sua messa in stato d'accusa da parte del Parlamento in seduta comune, serve al Movimento per uscire dall'angolo e alzare ancora la posta. Serve a non restare schiacciati da quella che tutti leggono come una vittoria politica di Salvini, che infatti nicchia e non cavalca. Serve ad allontanare il sospetto che il leader della Lega non abbia mai fatto sul serio, ma abbia utilizzato la partita con i Cinque Stelle per massimizzare i consensi e passare all'incasso alle prossime elezioni. Erodendo voti sia agli alleati di centrodestra sia proprio al Movimento Cinque Stelle, soprattutto al Nord. Come le elezioni regionali in Friuli Venezia Giulia e in Val d'Aosta hanno già dimostrato.
Se Di Maio e i suoi hanno passato gli ultimi mesi della campagna elettorale a perorare la causa della “normalizzazione” del M5S, tra una professione di fede europeista e un incontro con gli investitori a Londra, adesso sono costretti a indossare di nuovo la casacca degli anti-sistema. Al termine di quasi tre mesi in cui agli elettori è stato fatto digerire di tutto: i tentativi di dialogo con il Pd, l'asse con la Lega (difficile da comprendere per chi ha votato Cinque Stelle nel Mezzogiorno), un premier tecnico, dopo anni di attacchi ai premier “non eletti da nessuno”. Colpisce che oggi il capo politico M5S in diretta Facebook, provocatoriamente proprio mentre parlava Mattarella, abbia rispolverato toni barricaderi: “Diciamocelo: è inutile che andiamo a votare, tanto i governi li decidono le agenzie di rating e le lobby finanziarie”. Totale l'adesione al sovranismo, quando sostiene che “il punto non è Savona, non è un nome, ma un modo di intendere l'Italia, sovrana o no”.
Il ribaltamento è completo. Ma tra i pentastellati, insieme allo scoramento, serpeggiano tanti dubbi. «Corriamo il rischio di restare schiacciati da Salvini», ammette un parlamentare. Un altro, dietro la promessa del massimo riserbo, si augura che «adesso sia messa in discussione la gestione di questa fase da parte di Di Maio», sin dall'idea del contratto di governo. E sono in molti a guardare con speranza ad Alessandro Di Battista, che già ieri aveva annunciato: «Se si dovesse tornare al voto annullo il viaggio». Oggi assicura massima lealtà a Di Maio, che affianca in piazza stasera a Fiumicino per dare prova plastica di compattezza, e bolla gli accadimenti come “ultimi colpi di coda di animali politici morenti”. Ma a taccuini chiusi molti si aspettano che la strategia pentastellata venga ricalibrata e che Beppe Grillo torni ad afferrare le redini. Se non altro perché si è insistito tanto sullo slogan “il leader è il contratto di governo”, ma alla fine tutto è fallito per un nome.
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