L’impeachment, termine preso in prestito dal common law, in maniera non del tutto corretta per indicare la messa in stato d’accusa del capo dello Stato, nella storia della Repubblica non si è mai visto. O meglio: in due casi (presidenti Leone e Cossiga) la procedura è stata avviata ma non è andata a segno, perché i due si sono dimessi prima. In altri due casi - Scalfaro e Napolitano - non si è andati oltre la “minaccia”.
Di Maio: impeachment per evitare reazione popolazione
Il leader pentastellato Luigi Di Maio ha evocato questa ipotesi domenica sera, al termine di una giornata convulsa, che ha visto il premier incaricato Giuseppe Conte rimettere il mandato per la formazione di un nuovo governo nelle mani di Sergio Mattarella.«Bisogna mettere in Stato di accusa il Presidente. Bisogna parlamentarizzare tutto anche per evitare reazioni della popolazione», ha detto Di Maio, alzando di non poco il livello dello scontro istituzionale. La richiesta di messa in stato d’accusa del Capo dello Stato è stata avanzata anche da Fratelli d’Italia, tramite Giorgia Meloni.Quanto a Matteo Salvini, per ora frena: «Io le cose le faccio se ho elementi concreti: al momento non li ho, devo vedere, devo studiare».
Cosa dice l’articolo 90 della Costituzione
In base all’articolo 90 della Costituzione, «Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri».
I casi Leone e Cossiga
Il procedimento non è semplice, tant’è che nella storia della Repubblica non è stato mai avviato. In due situazioni ci si è andati vicino: nel 1978 quando Giovanni Leone si è dimesso dopo l’annuncio del Pci di voler avviare la procedura per lo scandalo Lockheed, relativo all’acquisto da parte dell’Italia di velivoli Usa (è stata poi riconosciuta la sua estraneità); e nel 1991, quando il Pds e Rifondazione comunista hanno avviato la messa in stato d’accusa per Francesco Cossiga: il Parlamento l’ha respinta, ma l’anno dopo Cossiga è finito di nuovo nel mirino, accusato dal Pds di aver attentato alla Costituzione per il suo ruolo nell’organizzazione segreta Gladio. Cossiga si è dimesso a due mesi dalla scadenza naturale del mandato, e il voto sullo stato di accusa non ci è stato.
Scalfaro e Napolitano solo “minacciati”
In due casi la procedura è stata ventilata dalle forze politiche, ma non si è andati oltre. Il 3 novembre del 1993 l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro pronuncia il famoso “io non ci sto”, in occasione di un messaggio alla tv a reti unificate. Scalfaro respinge le accuse di aver utilizzato fondi neri quando era ministro dell’Interno. Nel gennaio del 2014 i pentastellati presentano una formale richiesta di messa in stato di accusa di Giorgio Napolitano, per espropriazione della funzione legislativa del Parlamento e abuso della decretazione d'urgenza. La richiesta dei grillini viene archiviata un mese dopo dal comitato parlamentare.
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