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Dossier Anche il commercio entra nell'era 4.0

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    Dossier | N. 22 articoliL’Italia che cambia

    Anche il commercio entra nell'era 4.0

    Si fa un gran parlare di quarta rivoluzione industriale e Industria 4.0, ma anche il mondo dei consumi, e dunque del commercio e della distribuzione, sta attraversando la sua quarta rivoluzione, innescata anche in questo caso dalle potenzialità messe a disposizione dalle tecnologie digitali. E l'Italia non fa eccezione.

    L'era del «Digital Commerce»
    Sebbene con 15 anni di ritardo rispetto ai nostri cugini europei, anche in Italia siamo ormai entrati a pieno titolo nell'era del “digital commerce”, che non significa soltanto e-commerce, ma anche e soprattutto digitalizzazione dei punti vendita attraverso l'applicazione di dispositivi e strumenti tecnologici (dall'intelligenza artificiale al geofencing, dal riconoscimento facciale alla trasmissione ed elaborazione di dati) che hanno – o dovrebbero avere – lo scopo di ampliare e migliorare i servizi e l'interazione con la clientela, in un'epoca in cui ormai tutti noi – cittadini e consumatori – siamo iperconnessi, iperinformati, bombardati da offerte di ogni genere, alla ricerca di prodotti di qualità ma anche di convenienza e di risparmiare tempo.

    Il negozio del futuro
    Come sarà il negozio del futuro è difficile dirlo. Nel nostro Paese la “quarta rivoluzione commerciale” deve fare o conti con un contesto socio-economico di consumi ancora stagnanti (sebbene la grande crisi sembri definitivamente conclusa, le vendite al dettaglio sono diminuite del 10% dal 2007 al 2017) e con un sistema della distribuzione molto frammentato, in cui anche i gruppi più grandi hanno comunque dimensioni e fatturati molto inferiori a quelli dei grandi player esteri. Per rendere l'idea, secondo l'ultimo Report di Mediobanca sulla Gdo la somma del fatturato dei tre maggiori operatori italiani (Conad, Coop e Selex) ammonta nel 2016 a 37,3 miliardi, di poco inferiore a quello del gruppo giapponese Seven&i, che si colloca al 12esimo posto della graduatoria internazionale, dominata dal colosso statunitense Wal-Mart (456,6 miliardi di euro). I cugini francesi conquistano invece il terzo posto con Carrefour (76,6 miliardi) e il nono con Auchan (52,8 miliardi).

    Ieri e oggi: il commercio in Italia
    Il commercio in Italia, del resto, è stato a lungo dominato dai piccoli negozi di prossimità, soprattutto nel settore alimentare, che solo a partire dagli anni 60 hanno cominciato a fare posto alle insegne della cosiddetta Distribuzione moderna organizzata (Dmo). Se si escludono infatti rarissime eccezioni (grandi magazzini come la Rinascente fondata nel 1865, Coin nel 1926, Upim nel 1928 e Standa nel 1931), è solo nel 1957 che in Italia apre il primo supermercato in senso stretto, l'Esselunga di viale Regina Giovanna, a Milano. Lo sviluppo della distribuzione segue ovviamente l'industrializzazione del Paese e la trasformazione della società italiana, che in quegli anni conosceva il suo grande boom economico, iniziava a consumare anche al di là dei beni di prima necessità e cercava grandi superfici in cui potersi rifornire di tutto in tempi più rapidi.

    È la prima grande ondata di trasformazione del commercio in Italia, che dalla capillare diffusione nelle aree rurali, comincia a concentrarsi nelle città: un'ondata che vede la sua maturazione negli anni 70 e che assume sin dall'inizio una caratterizzazione tutta italiana, ovvero il prevalere delle formule di aggregazione tra imprese o consumatori (Conad, Coop, VéGé, Despar…) rispetto all'affermarsi di singole insegne (come Esselunga e Standa), secondo la formula dominante nel resto d'Europa.

    La piena affermazione della grande distribuzione si compie tuttavia negli anni 80 quando, secondo i dati elaborati da Federdistribuzione, il numero di supermercati raddoppia, passando dai 1.500 circa del 1980 agli oltre 3mila della fine del decennio, quando si contano anche i primi cento ipermercati. Sulla spinta delle insegne straniere in arrivo soprattutto da Francia e Germania, attraverso Piemonte e Veneto, cominciano a diffondersi in Italia anche le prime catene specializzate del non-food (articoli per la casa, abbigliamento, arredamento ecc.).

    Gli anni 90 sono invece il decennio delle grandi superfici, con l'affermazione degli ipermercati (oltre 300 quelli aperti a fine decennio) e dei centri commerciali. In questi stessi anni si afferma anche la formula dei discount, ereditata in particolare dalla Germania, con l'ingresso nel 1993 del primo player e 2.500 punti vendita aperti già a fine decennio.

    L'avvento dell'e-commerce e il ritorno della prossimità
    Lo scenario segue sostanzialmente questo tracciato fino alla metà degli anni 2000: l'intreccio tra crisi dei consumi (iniziata nel 2007) e avvento dell'ecommerce piegano il commercio tradizionale, colpendo in particolare le piccole botteghe e – all'estremo opposto – le grandi superfici. Secondo i dati registrati da Infocamere-Unioncamere Movimprese, tra marzo 2009 e marzo 2018 si sono perse oltre 10.300 imprese del commercio (-1,2%), che oggi sono oltre 853mila. tra queste, 57mila sono negozi della Dmo, contro i 61.500 punti contati da Federdistribuzione nel 2010.

    Oggi assistiamo a un progressivo ritorno alla “prossimità”, che investe tutte le tipologie di negozi, e all'affermazione della specializzazione merceologica, sia nel food, sia nel non-food. L'altro elemento che caratterizza la distribuzione odierna, e che sempre più è destinato a crescere, è l'omnicanalità, ovvero la necessaria integrazione tra punti vendita fisici e online. Anche su questo fronte, infatti, l'Italia è arrivata con notevole ritardo rispetto ad altri Paesi, ma negli ultimi anni il fenomeno della digitalizzazione ha subito un'accelerazione, spinto anche dalla rapida diffusione dell'ecommerce, che oggi vale quasi 27 miliardi di euro (dati Politecnico di Milano-Netcomm).

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