
«L’incertezza politica è veleno per l’economia italiana. Creare occupazione per i giovani è invece la più grande delle priorità per l’Italia»: è questa la strada per riportare in Italia il grande boom economico, secondo il professor Marcel Fratzscher, presidente del think tank tedesco Diw Berlin, autorevole istituto di ricerca economica fondato nel 1925 in Germania.
Perché l’Italia ha difficoltà a recuperare competitività? Quali gli errori dalla fine del miracolo economico degli anni Sessanta?
Prima di tutto vanno riconosciuti i punti di forza e le virtù dell’Italia, la sua società e la sua economia. Nonostante questi ultimi due decenni siano stati deludenti, l’Italia rimane uno dei Paesi più ricchi al mondo e con uno dei più alti standard di vita. L’Italia è stato un Paese di successo per tanti decenni e non vedo perché non possa tornare a quel successo in futuro.
La principale debolezza sta nelle sue istituzioni politiche e amministrative: i processi normativi sono ingombranti e inadeguati. Il quadro istituzionale, il sistema fiscale, regolamentare e politico, non è riuscito a modernizzare il Paese. L’Italia ha bisogno di cambiare le sue istituzioni per consentire all’economia di esprimere il suo enorme potenziale.
Qual è la percezione dell’Italia in Germania, i suoi imprenditori, le sue industrie? L’Italia è uno dei partner commerciali più importanti per la Germania.
I cittadini tedeschi e il mondo imprenditoriale tedesco hanno una grande stima dell’Italia e degli italiani. L’Italia è stato un partner economico, sociale e politico della Germania per molti decenni. I due Paesi, e soprattutto le loro economie, sono molto diversi ma anche molto simili. La struttura economica del Nord Italia ha grandi punti in comune con la struttura economica di successo del Sud della Germania: si fonda sulle aziende di medie dimensioni, altamente specializzate e a gestione familiare che hanno dato prova di essere resilienti e di farcela. Questo modello di business è stato la chiave del successo in un mondo sempre più globalizzato, garantisce sostenibilità e innovazione. Sono loro la spina dorsale delle nostre due economie, quella tedesca e quella italiana, sono loro che generano posti di lavoro e benessere.
Negli ultimi anni, tuttavia, il mondo imprenditoriale tedesco e anche i nostri politici si sono preoccupati per la crescita debole dell’economia italiana, per l’alta disoccupazione e anche per il successo della retorica anti-euro e l’incertezza politica che hanno rallentato il cammino delle riforme in Italia. Anche il sistema bancario e lo stato delle finanze pubbliche in Italia sono per la Germania motivo di preoccupazione.
Che cosa può fare l’Italia per accelerare la sua ripresa economica. Quali sono le riforme di cui ha assolutamente bisogno?
L’Italia ha bisogno di un governo stabile. La recente incertezza è veleno per la vostra economia. L’agenda di qualsiasi governo dovrebbe porre come priorità la riforma delle istituzioni economiche politiche, ridurre la regolamentazione, migliorare l’efficienza della macchina burocratica, semplificare il sistema delle tasse e dei trasferimenti, premiare adeguatamente la performance, aumentare la trasparenza e l’accountability.
Creare occupazione per i giovani dovrebbe essere la più importante priorità per l’Italia. Il governo italiano deve inoltre semplificare il sistema tributario e dei contributi sociali per dare alle aziende i giusti incentivi per investire in Italia in innovazione, tecnologia, formazione ed istruzione e affrontare la sfida demografica.
Che cosa rischia l’Italia se le riforme più cruciali non saranno fatte in futuro o quelle fatte verranno smantellate?
Il più grande rischio per l’Italia oggi è quello di perdere la generazione dei giovani per colpa della disperazione della loro situazione economica e per la mancanza di prospettive future. L’Italia deve rendersi conto che l’Europa e l’euro la rendono più forte. Senza l’euro, l’inflazione in Italia avrebbe corroso il risparmio degli italiani con un forte aumento di debito e deficit. Senza l’euro, i governi italiani non pagherebbero un interesse sul debito del 2% ma probabilmente del 10% o del 15 per cento.
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