
Non c'è niente di meglio del vino, per raccontare gli ultimi cinquant'anni dell'agricoltura italiana e dare un idea di dove il comparto vuole arrivare. La sua parabola è la metafora perfetta di un settore economico che è passato dall'obiettivo della quantità a quello della qualità. Senza dimenticare l'aumento dei profitti.
Il vino ha vinto la sfida della qualità
Dal 1965 al 2017 le cantine d'Italia sono passate dal produrre 68,2 milioni di ettolitri a imbottigliarne solo 41 milioni: ben il 40% in meno. Eppure, nello stesso lasso di tempo, le esportazioni si sono impennate, da 264 a 2.162 milioni di litri: è il 719% in più. Meno quantità, più qualità dunque, anche grazie al lavoro di 35mila sommelier, una figura professionale nata proprio nel 1965 ma riconosciuta giuridicamente soltanto dal 1973. Nel 1966 nasceva invece la prima Doc vitivinicola, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del riconoscimento della Denominazione di origine controllata per la Vernaccia di San Gimignano. Oggi l'incidenza delle produzioni di qualità (Doc e Docg) è arrivata al 40 per cento del totale, tanto che l'Italia ha conquistato il primato in Europa per numero di vini con indicazione geografica (73 Docg, 332 Doc e 118 Igt). ”Quello che è accaduto per il vino italiano rappresenta una straordinaria metafora del passaggio in corso in tutto il sistema produttivo agroalimentare italiano, da un'economia basata sulla quantità ad un'economia che punta invece su qualità e valore”. afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.
Un'agricoltura più “green”
Stando ai dati elaborati dalla Coldiretti, l'Italia in 50 anni ha perso il 37% della superficie agricola totale, passando dai 26,6 milioni di ettari coltivati nel 1965 ai 16,7 del 2013. Secondo l'ultimo censimento generale dell'agricoltura realizzato dall'Istat, le aziende agricole del nostro Paese oggi sono 1,63 milioni. Ma livello europeo, secondo Eurostat, con un fatturato (dati 2015) intorno ai 55 miliardi di euro siamo diventati la seconda potenza agricola della Ue. Non solo: negli ultimi anni tutta l'agricoltura italiana è diventata la più green d'Europa, conquistandosi la leadership per numero di imprese che coltivano biologico (quasi 60mila), ma anche grazia alla minor incidenza di prodotti agroalimentari con residui chimici fuori norma e la decisione di non coltivare organismi geneticamente modificati. L'Italia, ricorda la Coldiretti, è l'unico Paese al mondo con 5.047 prodotti alimentari tradizionali censiti e 293 specialità Dop/Igp riconosciute a livello comunitario. Ed è su questa strada, che gli agricoltori italiani vogliono continuare a puntare anche nel futuro: regole sempre più rigorose nelle caratteristiche dei prodotti alimentari, alta qualità, attenzione per il biologico e per la salute dei consumatori.
Settore alimentare in continua espansione
Così come è successo per il vino, anche il comparto alimentare dal Dopoguerra a oggi ha assistito a una vera e propria esplosione delle esportazioni. Tra il 1965 e il 2017 l'export industriale si è moltiplicato per quasi 21 volte, passando da 1,5 a 32 miliardi di euro. Certo, trattandosi di dati valutari, i confronti temporali vanno presi con le molle in quanto inglobano l'effetto inflazione, che negli anni 70 in particolare ha galoppato a due cifre. In termini quantitativi insomma, ricorda l'ufficio studi di Federalimentare, i trend sono senz'altro inferiori. Ma resta un fatto: nel 1965 l'export agricolo era superiore a quello industriale – 2,7 contro 1,5 miliardi di euro - mentre nel 2017 le vendite all'estero dell'industria della trasformazione superano nettamente quelle del settore primario: le prime valgono 8,5 miliardi, le seconde appunto 32. L'industria italiana della trasformazione, insomma, ha lavorato sodo dal boom economico in avanti, tanto da diventare oggi il secondo settore industriale del Paese dopo la meccanica, con all'attivo 6.850 aziende, 385mila lavoratori e un contributo al Pil che supera l'11 per cento.
La crescita del comparto alimentare ha fatto anche sì che negli ultimi 50 anni la bilancia agroalimentare si sia nettamente equilibrata nel tempo. Nel 1965 la differenza tra i prodotti industriali esportati e quelli importati era di soli 230 milioni di euro, mentre nel 2017 il saldo si è dimostrato attivo per quasi 10 miliardi di euro. Le sfide per il futuro? Una, soprattutto: accrescere la diffusione del made in Italy sui mercati del mondo. Con una domanda interna che continua a rimanere stagnante, ricorda Federalimentare, l'export diventa una necessità per la crescita del settore. Ecco perché le industrie del comparto, da qui al 2020, si sono imposte due obiettivi: il primo è il raggiungimento di quota 50 miliardi di euro nelle esportazioni, così come fissato a Milano durante l'Expo del 2015; e il secondo è un'incidenza del fatturato export sul fatturato totale dell'industria alimentare pari finalmente al 25%.
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