
Era il 1988 quando Leonardo Chiariglione creò l’Mpeg, lo standard per la codifica del segnale alla base della musica digitale. A metà anni ’90 poi, grazie all’intuizione di Mauro Sentinelli, nasce la prima scheda ricaricabile per telefonia mobile al mondo. Due “rivoluzioni di mercato”. E partite non dalla Silicon Valley, ma dallo Cselt di Torino: centro di ricerca e innovazione dapprima del Gruppo Iri-Stet e poi di Telecom, oggi Tim. Da qui l’Italia delle tlc misurava il suo essere all’avanguardia.
Anni dopo le telecomunicazioni fanno i conti con l’inverno dello scontento plasticamente riprodotto nel capitolo “Connettività” del Rapporto Desi 2018: al 26esimo posto su 28 Paesi della Ue. E per esempio si scopre che sulla copertura a banda larga ultraveloce (100 Mbps) il 22% delle famiglie italiane è lontano dal 58% di media Ue.
Eppur qualcosa si muove. La stessa Ue lo coglie quantomeno su due aspetti: la concorrenza infrastrutturale e il 5G. Nel primo caso c’è la novità Open Fiber, vista un po’ come il grimaldello per andare oltre il monopolio di Telecom nelle reti che finora ha avuto solo l’eccezione Fastweb.
Sul 5G, fatto il regolamento si va verso l’asta delle frequenze. Ma nel frattempo c’è una sperimentazione pre-commerciale in cinque aree. E tanto basta alla Ue per catalogare l’Italia «tra i pionieri della tecnologia mobile 5G»: una pacca sulla spalla a un Paese a lungo all’avanguardia nelle tlc e che comunque è cresciuto di pari passo con le telecomunicazioni.
La Sip che nasce a fine ’64 sotto l’egida della Stet riunisce le 5 compagnie che avevano gestito il servizio nazionale dal 1924. Allora le domande di nuovi impianti erano 400mila. Nel 1973 erano salite a 1,14 milioni. In quei periodi si collegavano “luoghi” e non persone. È così che le 15mila cabine pubbliche del 1966 salgono a 80mila nel 1973. Contemporaneamente alla Sip vedeva la luce lo Cselt dove si è sperimentata la fibra ottica agli inizi degli anni ’70 rendendo Torino, nel ’77, la prima città cablata nel vecchio continente. Da qui nel ’99 parte anche la prima telefonata Umts (3G) in Europa.
La storia però spesso segue percorsi non lineari. E alla fine Tim – dopo privatizzazione, liberalizzazioni, capitani coraggiosi, scontro sulla rete che dal piano Rovati in giù arriva fino a oggi, mescolamenti di azionisti – si trova indietro, per dimensioni e capitalizzazione, ai grandi competitor europei: Orange, Telefónica e ancor di più Vodafone e Deutsche Telekom. E pensare che nel ’98 – quando nasce Wind per volontà di Enel, France Télécom e Deutsche Telekom – Tim e Omnitel (nata in seno alla Olivetti) erano prima e seconda nel mobile in Europa.
Per le tlc - settore da 42,6 miliardi come “filiera allargata” e da 31,9 miliardi per i soli operatori – le sfide (5G, convergenza con i contenuti, avanzata dei giganti del web) sono sul tavolo. La scommessa è stare in partita.
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