È un destino “amaro” quello del Regolamento di Dublino sul diritto d’asilo europeo. Piatto forte del Consiglio europeo di oggi, non è la prima volta che viene messo in discussione (e rivisto): nella sua storia per ben tre volte è stato oggetto di modifiche, a testimonianza del fatto che il tema delle regole per la gestione dei flussi migratori è da sempre considerato sensibile. Il percorso si apre negli anni Novanta, quando la dissoluzione del sistema comunista nei paesi dell’Europa dell’Est e i successivi conflitti nei Balcani determinano un aumento delle richieste di asilo. Nel giugno del 1990 dodici Stati (Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Regno Unito) decidono di sottoscrivere un’intesa multilaterale, la Convenzione di Dublino, che entrerà in vigore del 1997. È la prima versione dell’accordo, che sancisce il passaggio dal metodo della cooperazione bilaterale tra governi a quello dell’adozione di norme europee.
A 13 anni di distanza, nel febbraio del 2003 la Convenzione di Dublino viene sostituita dal regolamento di Dublino, anche detto “Dublino II”. Una scelta che nasce dal processo di allargamento dell’Unione europea ai paesi dell’Est Europa. È un passaggio sostanziale: stando al diritto comunitario, il regolamento è una fonte normativa direttamente vincolante. Infine, l’ultimo passaggio: nel 2013 viene adottata una nuova versione del regolamento, il “Dublino III”, entrata in vigore il primo gennaio del 2014. Stabilisce che il Paese competente a esaminare la domanda di asilo è quello di primo ingresso nel territorio dell’Unione europea. Un sistema che, così strutturato, pone gran parte dell’onere sulle spalle di Italia e Grecia, ovvero i paesi che per collocazione geografica sono più vicini all’Africa e al Medio Oriente.
A partire dalle primavere arabe del 2011, quando il flusso migratorio dall’Africa ha registrato un’accelerazione, spinta anche dalla caduta di Gheddafi in Libia, l’attuale meccanismo è oggetto di critiche. Nell’autunno del 2015 circa 1,6 milioni di rifugiati arrivano in Europa occidentale, soprattutto attraverso la Grecia e la rotta balcanica. Rotta balcanica che a seguito dell’accordo tra Unione europea e Turchia nel marzo del 2016 viene chiusa, con conseguente aumento della spinta sulla rotta del Mediterraneo centrale.
Ad aggravare la posizione dei paesi più esposti, e quindi Roma e Atene, altri due criteri sanciti dalla versione corrente del regolamento. Secondo il primo di questi, la competenza a trattare la domanda è in capo al paese dal quale il richiedente ha ottenuto un visto di ingresso o un per messo di soggiorno. Il secondo sancisce che il paese membro che ha ricevuto una domanda di protezione o ha risconosciuto la protezione internazionale a un cittadino non comunitario è competente per la richiesta avanzata dai familiari.
Alla base dell’istituzione del sistema di Dublino, la creazione nel 2003 di un database centralizzato, il cui nome è Eurodac, con le impronte dei richiedenti asilo e di coloro che attraversano in maniera irregolare i confini esterni dell’Ue. Il sistema consente di individuare il paese di primo ingresso.
L’Italia chiede di superare il regolamento di Dublino che, nelle parole che ha utilizzato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nell’intervento in parlamento alla vigilia del Consiglio europeo, «non va riformato in qualche suo passaggio, ma va superato perché non ci sono dubbi oggi sul fatto che sia del tutto inadeguato a gestire i flussi migratori».
Vedi l’intervento del premier Conte alla vigilia del Consiglio europeo
Secondo l’Italia, va superato il criterio del Paese di primo arrivo. Al suo posto, il principio che chi sbarca in Italia sbarca in Europa. Sarà un vertice europeo «difficile», commenta su twitter il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk a poche ore dall’apertura del summit.
© Riproduzione riservata