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Inps, per la tutela dei rider serve il cesello, non…

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La foto inps della gig economy

Inps, per la tutela dei rider serve il cesello, non l’accetta. Ecco chi pedala per le città

Il rider? È giovane, maschio (90%), lavora in bicicletta (75%) soprattutto nelle fasce orarie legate ai pasti, in particolare la sera e nei week-end. È un’attività nella quale c’è un elevato turn-over, «che considera questa attività come fonte integrativa di reddito per scopi di breve o medio termine». A scattare la fotografia del pianeta dei rider, in prima linea fra i lavoratori della gig economy non tanto per numero quanto per mediaticità, questa volta è l’Inps che nel Rapporto annuale ha dedicato un intero capitolo alla gig economy. Un pianeta costituito da 750mila lavoratori. Per regolare queste forme di lavoro, secondo l’Inps, serve il cesello e non l’accetta: dal lavoro a chiamata rivisto ai contratti di prestazioni occasionali, con l’Inps disponibile a investire ulteriori risorse per la copertura assicurativa di questi lavoratori. Tutto tracciato online.

Una bici, uno smartphone e più di 18 anni
Per fare il rider non servono né un titolo di studio né competenze specifiche: serve uno smartphone, una bicicletta, bisogna essere maggiorenni e poter lavorare in Italia. Secondo i dati di Deliveroo e Foodora in media un rider lavora fra le 10 e le 15 ore a settimana. Solo il 20% supera le 25 ore a settimana. Dalla tabella risulta che il compenso medio lorto per un’ora di lavoro (2,5 consegne) sarebbe di 12 euro. Elevato il turn over: un rider lavora in media 4 mesi. Solo il 20% supera i 12 mesi.

Per il 34% è la principale fonte di guadagno
Il 34% dei rider la considera la fonte principale di guadagno, mentre per il 32% è solo una attività da svolgere durante gli studi. Caratteristiche apprezzate dai rider, assieme alla flessibilità d'impegno e orario. La quota di quanti si dichiarano insoddisfatti è minoritaria. E fra quelli insoddisfatti la motivazione è il reddito (vorrebbero poter lavorare e guadagnare di più). Uno su due vorrebbe una posizione più stabile e con maggiore co-responsabilità aziendale (formazione professionale, pagamento dei costi di manutenzione – anche se non di acquisto – del mezzo di trasporto). L’Inps ha anche indagato sull’attività principale dei rider: il 30% hanno un lavoro dipendente o autonomo, il 50% sono studenti o specializzandi, mentre il restante 20% è disoccupato o inattivo. Trascurabile la quota di pensionati.

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In crescita gli ordini tramite app
Pedalano per le città soprattutto all’ora di pranzo. Alcuni lo fanno per arrotondare, altri come vera e propria fonte di sostentamento. In Italia come all’estero l’ordine tramite app e la consegna a domicilio sono in continua crescita, tanto che ormai il rider è diventato parte dell’immaginario di tutti gli italiani. In realtà è un lavoro on demand tramite app. E in Italia come in Europa cresce il lavoro temporaneo e aumentano le forme alternative di lavoro autonomo, dagli zero hours contract inglese (per il datore nessun obbligo di offrire su base regolare ore di lavoro e nessun obbligo per il lavoratore di accettare proposte del datore) ai mini-job tedeschi.

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Come è nato il fenomeno
Il mestiere del rider è una evoluzione della consegna di pasti a domicilio del fattorino motorizzato della pizzeria. In Europa i primi a innovare sono stati quelli di Just Eat, fondata in Danimarca nel 2001.

L’idea portante era quella di lasciare la preparazione del cibo e la consegna al ristorante, aggregando le offerte di più ristoranti in un unico ambiente digitale comodamente a disposizione del cliente, e cioè la piattaforma. Modello iniziale poi superato da aziende come Deliveroo, fondata nel Regno Unito nel 2013, e Foodora, fondata in Germania nel 2014, che oltre a gestire i rapporti con i ristoranti passarono ad occuparsi anche della logistica delle consegne.

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