Sì alle agevolazioni anche se non c’è il certificato anti-mafia. La mezza paralisi che rischiava di bloccare buona parte dei 6,4 miliardi di investimenti mobilitati dal credito d’imposta per il Sud è scongiurata da una circolare appena pubblicata dal ministero dell’Interno che recepisce quanto chiesto da Confindustria nei mesi scorsi.
E cioè che anche senza la necessaria verifica antimafia che deve essere rilasciata dalle Prefetture - molto spesso in ritardo anche di molti mesi per la pioggia di richieste - si possono «legittimamente» corrispondere «i contributi, i finanziamenti e le altre erogazioni sotto condizione risolutiva», spiega la circolare. Il che significa che in caso di verifica negativa della successiva comunicazione antimafia per l’impresa «la misura del credito d’imposta da recuperare coincide con l’intero importo autorizzato»: in pratica si deve restituire quanto ottenuto.
Il chiarimento del Viminale sblocca così finanziamenti molto attesi dalle imprese del Sud che dopo il restyling dell’aprile del 2017 ai meccanismi alla base del credito d’imposta ha iniziato finalmente a correre: a fine 2017 questa agevolazione contava benefici fiscali prenotati per 1,5 miliardi per 14.204 investimenti privati capaci di mobilitare 4 miliardi di investimenti. Cifra questa che secondo gli ultimi dati a disposizione del ministero per il Sud guidato da Barbara Lezzi - che proprio al Sole 24 Ore ha anticipato nei giorni scorsi la volontà di aumentare il tiraggio di questo bonus - ha raggiunto i 6,4 miliardi di investimenti a fronte di 2,2 miliardi di credito d’imposta. Con quasi metà dell’agevolazione destinata in particolare alle attività manifatturiere.
La circolare ha però anche il peso di un prezioso precedente: non solo perché risponde a un quesito dell’Agenzia delle Entrate alle prese con questo adempimento per autorizzare il bonus (la stessa Agenzia ha prospettato questa soluzione), ma anche perché questa strada potrebbe rappresentare un modello da seguire anche per l’erogazione di altri aiuti di Stato per gli investimenti delle imprese che potrebbero - come già successo in passato a esempio per i fondi europei per la Pac - finire nello stesso ingorgo.
La soluzione trovata nella circolare nasce dal fatto che l’Agenzia aveva sospeso l’autorizzazione «in attesa della documentazione liberatoria», determinando però - si legge ancora nella Circolare - «un complessivo rallentamento» delle attività «dovuto alla lunghezza dei tempi medi di attesa del provvedimento antimafia». La via d’uscita trovata si appoggia inoltre proprio al Codice antimafia, così come modificato nel 2014 (Dlgs 153/2014) che dà «la facoltà, ma non l’obbligo» di sospendere il versamento fino alla ricezione della comunicazine antimafia. L’imbuto nasce come detto dal fatto che le prefetture competenti non sono in grado di rispondere a tutte le richieste, in attesa che laBanca dati nazionale unica per la documentazione antimafia sia pienamente a regime rendendo così in futuro automatico questo adempimento.
Nella stessa circolare il ministero dell’Interno - in cui risponde ai quesiti dell’Agenzia delle Entrate - precisa anche che, se la fruizione del credito d'imposta viene autorizzata in base al provvedimento antimafia liberatorio e, successivamente, interviene il provvedimento interdittivo, l’autorizzazione non deve essere revocata. Questo perché - spiega il Viminale - le norme di riferimento «nel prevedere l’esercizio della revoca o del recesso, contemplano solo i casi della stipula del contratto, della concessione dei lavori o dell’autorizzazione al subcontratto, senza alcun richiamo alle erogazioni».
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